Sono passati 126 anni, e lo scandalo della Banca Romana continua ad appassionare studiosi e curiosi. L'ultimo libro che se ne occupa, edito dal Mulino, porta la firma di Clotilde Bertoni, docente di Teoria della letteratura all'Università di Palermo, che ha voluto creare una liaison con la produzione letteraria del tempo, indagando su quanto quella vicenda e, più in generale, i fatti della mala-finanza dell'epoca, abbiano influenzato scrittori di tutta Europa. Il volume s'intitola infatti “Il romanzo di uno scandalo” (pag. 384, 29 euro) e porta come sottotitolo “La Banca Romana tra finzione e realtà”. Ma la copertina non dev'essere fuorviante: non si tratta di un'opera narrativa, ma di una coltissima ricostruzione frutto della studio di una grande mole di documenti originali e in parte inediti.
I fatti della Banca Romana reggono così bene il tempo che se ne parla ancora. Fu il più grande scandalo di fine Ottocento; costò il governo a Giovanni Giolitti, che dovette dimettersi; fece emergere una rete fittissima di corruzione, svelò il marcio della politica, attraverso il denaro usato per comprare deputati, senatori, ministri, giornali, giornalisti, funzionari. La stessa giustizia apparve asservita al potere politico e non fu casuale se i sette imputati alla fine andarono tutti assolti. Lo scandalo, più che travolgere impetuosamente la banca e i suoi beneficati, in teoria non avrebbe dovuto nemmeno scoppiare: perchè fino all'ultimo si cercò strenuamente d'insabbiarlo. Se esplose fu per la determinazione di alcuni singoli – parlamentari, funzionari, giornalisti – che riuscirono a imporre all'opinione pubblica le manovre che erano state compiute, scatenando la tempesta.
Dopo 126 anni (le vicende abbracciano il periodo tra il 1892 e il 1894) ci si chiede dunque: qual è la sua attualità? Al di là della trama romanzesca - “ricca di colpi di scena, di misteri mai chiariti, di tanti personaggi famosi e altri caricaturali: insomma, una realtà che supera la fantasia, quasi unfeuilleton: ecco l'interesse degli scrittori!” - Clotilde Bertoni segnala un fatto importante: “Nell'illustrare la miseria e la debolezza della classe politica, la storia fa invece emergere la grandezza della politica parlamentare, perchè è in Aula che lo scandalo viene denunciato ed è in Aula che il dibattito non si spegne, ma si accende con toni sempre più violenti. Rappresenta, in qualche modo, l'autorità e l'autorevolezza del Parlamento, quando invece Tangentopoli, cent'anni dopo, emerse e prese dimensione nelle aule di giustizia”.
La vicenda è complessa, ma proveremo a riassumerla in estrema sintesi. La Banca Romana era un istituto pubblico di emissione; cioè, insieme ad altri cinque, batteva moneta per il Regno d'Italia. Era gestita da un personaggio controverso, Bernardo Tanlongo, cattolico, amico dei politici più potenti e frequentatore di casa Savoia. La banca non era sua, ma era come se lo fosse. Dopo il 1889 lo “sboom” dell'edilizia provocò una crisi economica che coinvolse gli istituti che avevano sostenuto lo sviluppo. La Romana si ritrovò con ammanchi in bilancio che si cercò di nascondere, e abusò del suo potere di emissione. Questi i numeri: rispetto ai 60 milioni di banconote che era autorizzata a mettere in circolazione, arrivò a 124, ben 64 milioni in più, oltre il doppio; l'ammanco di bilancio accertato fu di 28 milioni; le banconote “duplicate” quindi praticamente false, ammontarono a 41 milioni. Cifre stratosferiche ma che oggi è difficile quantificare, e rispetto alle quali le tabelle storiche sull'inflazione rischiano di non essere verosimili. Meglio forse qualche dato generico sul potere d'acquisto: nel 1892 il Corriere della Sera costava 5 centesimi, una serata alla Scala 5 lire, il primo premio alla Lotteria di Palermo valeva 100mila lire, il totale dei depositi alla Cariplo ammontava a 205 milioni, il disavanzo del Comune di Napoli era di 6 milioni.
La denuncia dello scandalo portò innanzitutto a bloccare la proroga, che sembrava scontata, ai poteri di emissione delle sei banche. Si cercò – con una pratica che si usa tutt'oggi – di occultare o confondere la situazione promuovendo la fusione della Romana con altri istituti, cosa che non andò in porto. Per dotare Tanlongo dell'immunità parlamentare, fu nominato senatore; ma alla mancata ratifica da parte del Senato egli fu immediatamente arrestato. Si andò avanti per colpi di scena: fu provato che a decine, centinaia, di potenti (forse anche al re, forse al Vaticano) erano stati concessi ingenti prestiti sempre prorogati, quasi a babbo morto. Molti documenti scomparvero. Ci fu almeno una morte sospetta. Giolitti e Crispi, che si avvicendarono alla presidenza del Consiglio, non si lesinarono colpi bassi; ma mente il secondo aveva ottenuto denaro “in proprio”, il primo lo aveva utilizzato per finanziare la sua attività politica. Anche cent'anni dopo, in piena Tangentopoli, c'era chi aveva rubato per sé e chi per il partito.
Che cosa resta oggi di quella stagione di distruzione e di veleni? Ci resta la Banca d'Italia, che diventò di lì a poco, sulle macerie di un sistema bancario corrotto e malsano, l'unico istituto di emissione nazionale e assunse i compiti della vigilanza.
E i risparmiatori? In genere non se ne parla, quasi non esistessero. E infatti Clotilde Bertoni fa chiarezza: la banca era pubblica, nessuno – se non lo Stato – potè perdere il proprio denaro investito nelle azioni; tutte le banconote illegittime in circolazione furono garantite dal governo, e quindi i singoli non patirono direttamente, a differenza dei recenti casi di cronaca in Toscana e nel Veneto. Fu dunque una vicenda squisitamente e squallidamente politica.
Piuttosto, ci rimisero tutti i contribuenti, perchè oltre alle garanzie sulle banconote, il governo si assunse anche i costi della liquidazione della Banca Romana, confluita nella Banca d'Italia. A beneficio di tutti coloro che riuscirono, con astuzie e collusioni, a non restituire il denaro ottenuto in prestito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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