«Quando ci sono io non c'è la morte e quando ci sarà la morte non ci sarò io». Questo diceva, citando Epicuro, da quando era ricoverata in ospedale, in cura per i problemi cardiaci che l'assillavano da tanto e che negli ultimi tempi erano molto peggiorati. E in questo essere coraggiosa, toscanaccia e scanzonata a prescindere, c'era molto di Margherita Hack, la più famosa astrofisica italiana, che si è spenta ieri a Trieste. Una donna spigolosa, amante dello scontro verbale, «perché è così che nascono le idee», e ben poco disposta a farsi appiccicare un cartellino, una di quelle belle didascalie chiarificatrici che si trovano nei musei o negli osservatori astronomici.
Era nata nel 1922 a Firenze, da una famiglia in cui la religione contava. Il padre Roberto era contabile e protestante, la madre maestra, diplomata in Belle Arti e cattolica. Entrambi si erano avvicinati alla teosofia, filosofia-religione che tende a unire in un solo credo tutti i culti. Lei, invece, a 15 anni aveva già scelto con chiarezza l'ateismo. «Forse da bambina ho creduto nell'aldilà, ma è poi successo da sé che non ho più creduto: è importante il rispetto del prossimo, per amarlo come te stesso è sufficiente l'etica, non c'è bisogno di ricorrere a Dio!». E c'è un'altra svolta risalente agli anni giovanili, ma non di rottura con la tradizione famigliare, bensì di adesione. Il padre aveva perso il lavoro per non aver voluto prendere la tessera del fascio. Non cambiò idea nemmeno quando la situazione economica della famiglia divenne disastrosa. Margherita invece rischiò, nel 1940 l'espulsione dal liceo - «i miei facevano enormi sacrifici per mandarmici» - litigando con i suoi compagni di classe fascisti.
È stato questo il Big bang della pasionaria rossa e atea che tutti conosciamo anche per scelte improbabili come la candidatura nella Lista Anticapitalista alle elezioni europee del 2004, o per essersi fatta eleggere alle regionali del 2005, in Lombardia, nella lista del Partito dei Comunisti Italiani e poi cedere il seggio al comico Bebo Storti. Ma attenzione, le catalogazioni facili, alla supernova Hack non si addicono. Il suo privato infatti è meno tranchant. In quegli stessi anni conosce per la prima volta quello che diventerà suo marito. Primo incontro ai giardinetti: lei ha 11 anni, lui 13. Poi si perdono di vista e si ritrovarono all'università. Lui è Aldo De Rosa, cattolico, figlio di un commissario di polizia, poco scientista e amante della letteratura. Ovviamente per lo più passano il tempo a litigare. Ovviamente è amore. Per lui Marga (la chiamava così) fa quello che non farà mai più: entra (una mattina, di nascosto) in una chiesa e lo sposa. Sono rimasti sempre assieme. Cervelli gemelli, visto che la parola anima alla Hack... Ognuno dei due ha applicato quell'arte del cedere che si chiama amore. Certo, più lui che lei. Come sui figli: «Se glielo avessi chiesto non si sarebbe rifiutata, ma avevo capito che non le sarebbe piaciuto, anche fisicamente».
E poi c'è la scienza. Anche in quel campo è difficile classificarla. Alla fine dell'università cercano di rifilarle una tesi loffia e un po' ottocentesca sull'elettrostatica. Fugge verso l'astrofisica e si laurea (votazione 101/110). E il resto lei lo spiegava così: «Non sono stata un Einstein. Non ho fatto grandi scoperte. Ho portato, nel mio campo, un contributo al progresso della scienza. E l'ho fatta conoscere soprattutto ai giovani...».
Soltanto divulgazione? No. Nel 1957 a Berkeley aveva fatto delle ipotesi per spiegare le caratteristiche di una stella unica nel suo genere, Epsilon Aurigae, ma per verificare queste ipotesi avrebbe dovuto osservarla all'ultravioletto, inaccessibile da Terra. Aveva ragione, lo si saprà soltanto ne 1978. Tra le sue ipotesi più affascinanti, anche l'idea di un universo che si espande a grappolo. E si è battuta in difesa di idee scientificamente corrette e politicamente scorrette. Come raccontò proprio al Giornale: «Io credo che il nucleare sia necessario, perché c'è un problema crescente di energia... bisognerebbe scegliere zone non sismiche come la Sardegna». Certo il suo lato nuclearista («una scelta ecologica e sostenibile») non è mai piaciuto a molti suoi fan rosso-verdi. Preferivano aggrapparsi al suo rigido vegetarianesimo, all'amore per gli animali (viveva con otto gatti e un cane), o al fatto che avesse fatto il garante scientifico del Cicap o la madrina intellettuale dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti.
Perché era da lei usare la scienza come una clava. Senza mezze misure. Ma è triste che del suo rigore, a volte rabbioso, qualcuno abbia accolto unicamente la parte comoda (e forse più opinabile), quella del laicismo a oltranza. Come è sbagliato, ora che non può più difendersi, cercare di edulcorarne il personaggio.
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