Lo scrittore Domenico Starnone: "Io non sono Elena Ferrante"

Lo scrittore Domenico Starnone lo ha scandito nell'incontro che lo ha visto protagonista al Festival della letteratura di Mantova, a Palazzo San Sebastiano. Il pubblico in coro ha replicato divertito

Lo scrittore Domenico Starnone: "Io non sono Elena Ferrante"

“Io non sono Elena Ferrante". Lo scrittore Domenico Starnone lo ha scandito nell'incontro che lo ha visto protagonista al Festival della letteratura di Mantova, a Palazzo San Sebastiano. Il pubblico in coro ha replicato divertito, su suggerimento dell'intervistatore, Massimo Cirri. "Lui non è Elena Ferrante". Cirri ha quindi invitato chi era intenzionato a far firmare copie dell'autore a non chiedergli dediche su "libri non suoi".

Si è chiuso così, con lo svelamento, in apparenza sincero, della non corrispondenza tra Starnone e Ferrante, l'appuntamento con l'atteso "uomo dalle molte vite": insegnante, giornalista, scrittore, sceneggiatore, ma non Elena, si è raccontato il settantaquattrenne autore napoletano, a lungo professore nel liceo classico Pascoli di Viggiano, in Basilicata, e diventato scrittore a quarantadue anni, smentendo così le ultime notizie sul suo conto. Notizie freschissime che arrivano da una ricerca internazionale svolta da un gruppo di professori riuniti a Padova nel workshop "Drawing Elena Ferrante's profile" .

A conclusione di uno studio svolto su centocinquanta romanzi e quaranta autori, il responso è stato: Elena e Domenico sono la stessa persona. Ma Starnone ha preso le distanze totali dalla bestsellerista anonima: "Non sono lei". Non ha fatto nessun accenno alla moglie, Anita Raja, altra indiziata degli ultimi anni, come e più del marito, nella ricostruzione del mistero sull'autrice de L'amica geniale, inserita dal Times tra le cento donne più influenti del 2016. Con un tributo a Kafka e Calvino come modelli letterari della giovinezza, ma anche ai quarantanove racconti di Hemingway, Starnone si è raccomandato: un bel libro deve creare "un terremoto" in chi lo legge, non deve essere consolatorio, ma, come direbbe Kafka, "sconvolgere più della morte di una persona cara".

Un libro che vale sa mostrare "la potenza dell'esistenza" e trasmette "il piacere di essere in vita", non deve per forza rendere felici, ma essere "un colpo d'ascia sferrato al lago gelato che ci portiamo dentro", con il pensiero ancora a Kafka. Su Ferrante nient'altro. Applausi.

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