Se l'idea moralistica di bene è solo cattiva fede

È il principio del 1900, il critico trentaquattrenne di Kiev, il semisconosciuto Lev Šestov, quello che diventerà negli anni successivi uno dei maggiori filosofi e teologi del XX secolo ma che aveva allora pubblicato solo un libro dedicato a Shakespeare passato però inosservato, dà alle stampe uno studio che farà invece molto discutere, L'idea di bene in Tolstoj e Nietzsche , ora per la prima volta tradotto in Italia da Castelvecchi per la cura di Andrea Oppo (pagg. 188, euro 22). Tolstoj, invece, è già l'autore dei suoi capolavori: Guerra e pace e Anna Karenina . Quando Šestov propone il suo libro ad alcuni editori, c'è chi gli consiglia di non pubblicarlo, perché le accuse a Tolstoj e l'adesione alla filosofia di Nietzsche gli causeranno certo dei problemi. In verità Šestov sta definendo e gettando le basi di quella che sarà la ricerca filosofica che lo accompagnerà per tutta la vita, espressa poi in numerosi libri come Sulla bilancia di Giobbe (1929) e Kierkegaard e la filosofia esistenziale (1936).

Non era cosa poco coraggiosa mettersi contro il conte Tolstoj in quel momento, se è vero che l'autore de La morte di Ivan Il'ic era allora considerato in patria una specie di profeta, uno che desiderava parlare al popolo e che ormai rinnegava anche il suo lavoro precedente. Šestov vuole prendere di mira la sua ultima produzione, sintetizzata nel saggio Che cos'è l'arte? , un libro che, nota il filosofo, con l'arte non ha nulla a che fare. Tolstoj ha in mente esattamente questo: l'uomo deve servire il bene per poter vivere al meglio, e non importa se tale bene prestabilito e ideologicamente razionalizzato nasconda una crepa, una falla, un dubbio dentro cui lo stesso Tolstoj vive (come dimostrano le sue opere precedenti) pur decidendo di tacerlo, credendo non utile esporlo ai suoi discepoli: l'intero popolo russo. Tolstoj, di fatto, anche credendo che la sua ideologia – l'ideologia di un bene che fosse sinonimo di Dio, ma un Dio idealizzato, costruito a tavolino – fosse insufficiente a comprendere ogni cosa della vita, pensa sia necessario che gli uomini, affinché avvenga il loro riscatto sociale, più che esistenziale, debbano seguirla.

È qui che Šestov edifica la sua disamina contro la morale e il moralismo, un discorso che sarà pure il contenuto dell'intera sua opera filosofica. Si domanda alla sostanza dove sia Dio nell'idea moralistica di bene, e se per caso questa morale altro non sia che cattiva fede. Il filosofo comprende che la ricerca speculativa non è tale se non trova un corrispettivo di verità nella vita degli individui, e che nessuna costruzione razionalistica può definire la vera realtà dell'esistenza umana. È ciò che ha compreso e cercato di esprimere Nietzsche, il quale, scrive Šestov, per tutta la vita cercò Dio senza mai riuscire a trovarlo, come è evidente in Al di là del bene e del male e in Così parlò Zarathustra . Siamo ancora lontani dal suo testamento filosofico, Atene e Gerusalemme , che Šestov pubblicò lo stesso anno della sua morte, nel 1938. Ma la chiusura de L'idea di bene in Tolstoj e Nietzsche già indica il percorso: «Bisogna cercare ciò che è al di sopra della compassione, ciò che è al di sopra del bene. Bisogna cercare Dio». In Atene e Gerusalemme , poi, arriverà a spiegare che ciò di cui non è mai riuscita a liberarsi la filosofia è della concezione di «necessità».

Una necessità che la rendeva schiava dell'idea di bene e di male. Ma la conoscenza del bene e del male, dice Šestov, giunsero all'uomo dopo il peccato originale.

Occorre cercare «al di sopra del bene»; occorre un gesto di fede per liberarsi della colpa, per liberarsi della morale.

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