«La pazzia non è necessariamente tracollo... può essere anche una conquista, un importante passo avanti». Così scriveva «l'antipsichiatra» R.D. Laing che nel 1965 fondò una comunità terapeutica per fornire «un ambiente favorevole al compimento del viaggio ciclico dello schizofrenico». Due anni dopo Laing visitò Syd Barrett, il leader dei Pink Floyd che dopo lo strabiliante singolo Arnold Layne (storia di un ladro di mutande) e l'album The Piper at the Gates of Dawn s'era trasformato in un naufrago in stato psicotico di sofferenza e di disagio.
Barrett fu il primo a varcare il confine tra psichedelia e psicosi nel rock inglese, il primo «pazzo» che ha segnato la storia del rock ingaggiando una strenua lotta con le sue follie. L'uomo che aveva due buchi neri al posto degli occhi; il creativo che non parlava mai con nessuno, a volte non riusciva neppure a muoversi. Insomma, l'uomo che l'Lsd aveva portato su un altro pianeta alla fine fu buttato fuori dai Pink Floyd e questo contribuì al suo definitivo tracollo mentale. I primi tempi, si presentava a tutti i concerti della band, si piazzava davanti al suo sostituto David Gilmour e ripeteva ossessivamente: «Questa è la mia band». Di lui, di David Bowie, di Nick Drake, dei Who e di molti altri parla il libro di Clinton Heylin - che verrà presentato domani dall'autore al Festivaletteratura di Mantova - All the Madmen. Il lato oscuro del rock britannico (ed. Odoya, prefazione di Riccardo Bertoncelli).
«È degno d'attenzione - scriveva nel 1765 il vescovo Thomas Percy - il fatto che gli inglesi abbiano più canzoni e ballate sull'argomento della pazzia di qualsiasi loro vicino». E grazie all'enorme circolazione di acidi e trip vari, negli anni '60 ci fu una incredibile concentrazione di rocker fuori di testa. La primavera 1965 fu un periodo a rischio per gli artisti inglesi dalla psiche vulnerabile. L'Lsd, non ancora illegale, veniva distribuito ovunque (spesso versato inconsapevolmente nelle bevande). I Beatles fecero da cavie per gli «acidi» quell'8 aprile a casa di un dentista. George Harrison disse: «È devastante. È come se qualcuno cancellasse improvvisamente tutto ciò che ti è stato insegnato da bambino»; mentre Lennon passò da brani come Help alla complessa psichedelia di Strawberry Fields Forever.
E se in America Allen Ginsberg (che fu ricoverato in manicomio e spedì il suo inno Howl per primo a Carl Solomon, anch'egli rinchiuso «per aver protestato contro il razionale e l'accettabile facendo il clown neo-dada») e Timothy Leary esaltavano le capacità d'ispirazione dell'Lsd, in Inghilterra molti capirono a proprie spese che l'acido inibiva le capacità creative. Pete Townshend dei Who, dopo un anno di allucinogeni, prese al Monterey Pop Festival una dose robusta di Stp che lo portò a un blocco creativo totale. «Passai il tempo all'esterno del mio corpo - ricorda - intento a guardare dentro di me più di quanto avessi mai fatto. Dovetti imparare da capo ad ascoltare la musica e a scrivere canzoni». La risalita fu lunga e faticosa e persino un singolo come I Can See For Miles non servì a rilanciare la band nell'Olimpo della hit parade. Peggio andò alla promessa del r'n'r Vince Taylor che perse la strada di una gloriosa carriera dopo essersi fatto un acido a Londra con Bob Dylan. Taylor ne chiese ancora e poi, a Parigi, si presentò alla sua band vestito da barbone, con una bottiglia di vino Mateus in mano, dicendo: «Voi pensate che io sia Vince Taylor? No. Mi chiamo Mateus, sono il nuovo Gesù, il figlio di Dio». La leggenda vuole che quella notte, sul palco, si mise a predicare in tonaca bianca dicendo di essere Mateus il Messia. Ricoverato in un ospedale psichiatrico, passò la vita tra vino, acidi, uova e visioni religiose. Sia Taylor che Barrett furono grande fonte di ispirazione per il giovane David Bowie che - con mamma, fratello e zia schizofrenici - in seguito affrontò la sua follia presentando al pubblico i propri alter ego, prima Ziggy Stardust, l'uomo spaziale morto in un «R'n'R Suicide» e poi Aladdin Sane che sfidava il glam rock di Marc Bolan.
L'esperienza con Barrett non convinse la Emi e il manager dei Pink Floyd Jenner a tenersi lontani da altri «pazzoidi». Infatti misero sotto contratto l'eccentrico cantautore Roy Harper (uscito da poco da un manicomio) e il magnifico e sempre depresso Nick Drake che, chiuso nel suo mondo fatto di blues e solitudine, riuscì a fatica a incidere alcuni dischi cult prima di morire suicida. Anche i gruppi alla moda dell'epoca, come i Kinks di Ray Davies e i Move ebbero gravi momenti di crisi dimostrando che, anche senza pasticche, la mente creativa inglese «era portata a modalità autodistruttive».
Senza dimenticare Peter Green, anima blues dei Fleetwood Mac, sparito dalla circolazione negli anni '70 per schizofrenia e tornato, come icona blues, in questi ultimi anni. Nessuno di questi eroi - Barrett per primo - ha mai letto i libri di R.D. Laing.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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