da Roma
«Nel nome del popolo romano, assolvo Margareth Thatcher da tutte le accuse. Però, Signora, non lo faccia più». In patria ne subì di tutti i colori. Attentati, scioperi, manifestazioni durissime. Qualcuno provò anche a portarla alla sbarra con l'accusa di crimini contro l'umanità per la guerra delle Falkland. Come è noto le critiche non la scalfivano. Nemmeno la morte le ha risparmiato la gogna dei festeggiamenti, ma c'è da scommettere che nemmeno questi spettacoli l'avrebbero scomposta più di tanto.
Quello che forse Thatcher non si sarebbe mai aspettata è di finire «a giudizio» in Italia, bonariamente assolta in un processo-show tenuto nel Paese che forse le era più distante culturalmente. Giudicata (e difesa) da una classe politica che lei capiva pochissimo. Forse meno di quella sovietica. Di Giulio Andreotti disse: «Questo membro apparentemente indispensabile di tutti i governi italiani rappresentava una linea politica che non potevo condividere. Sembrava avesse una reale avversione per i principi, anzi la profonda convinzione che un uomo di principi fosse condannato a essere ridicolo». I bizantinismi della Prima Repubblica italiana, che vedeva da lontano, erano agli antipodi rispetto alla sua morale protestante. Abissi culturali che erano anche di linguaggio. Sono leggenda i «problemi all'auricolare» che la Lady di ferro pensava di avere quando i premier italiani parlavano ai vertici internazionali. Eppure mercoledì sera, al teatro Parioli di Roma è andato in scena un processo storico al primo premier donna d'Europa. Ultimo spettacolo di una fortunata serie curata da Elisa Greco. Presidente della Corte: Alfredo Mantovano, giudice e politico. Come pubblico ministero: Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista, che sull'epica dell'anti thatcherismo ha costruito parte della sua identità. La difesa è invece toccata all'esponente di Forza Italia Francesco Paolo Sisto e a Paolo Cirino Pomicino, ex ministro del Bilancio ed esponente di quella Dc che alla Thatcher piaceva pochissimo.
Classiche le accuse: «Ha disarticolato il welfare inglese, represso manifestazioni, tolto il lavoro ai minatori». Non manca l'aver «lasciato morire» Bobby Sands e i militanti dell'Ira in prigione per lo sciopero della fame. Poi, «ha eliminato il bicchiere di latte quotidiano che fino ad allora veniva dato agli alunni delle elementari» del Regno Unito. Una «privazione», simbolica, che ancora fa battere il cuore alla retrovie della sinistra britannica e dà qualche argomento a quella italiana che riesce, con successo da più di trent'anni, a resistere a ogni tentativo di thatcherizzare l'Italia.
Facilissima la difesa, in parte fatta dalla Thatcher stessa, impersonata dalla giornalista Annalisa Chirico e dal marito Denis Thatcher, alias Filippo Facci. Bastano i dati. La disoccupazione nel Regno Unito sotto la sua guida è diminuita; il tessuto produttivo del Paese, è vero, ha perso 10 punti di manifatturiero. Ma grazie alla spinta modernizzatrice della baronessa Thatcher - figlia di un droghiere con il culto del lavoro - si è convertito fin dagli anni Ottanta alla più moderna economia dei servizi, ha spiegato Pomicino. L'Irlanda? Bertinotti (coadiuvato dal giornalista Piero Sansonetti nelle vesti di un militante dell'Ira) ha spiegato che la Lady di Ferro «non aveva capito niente» e ha ritardato il processo di pace. Un disastro, al contrario di un altro leader di destra, De Gaulle: «Lui aveva capito che non poteva trattare gli algerini, che facevano saltare in aria i caffè francesi, come terroristi». Replica storica di Sisto: furono i governi laburisti a militarizzare l'Ulster e a negare lo status di prigionieri politici ai militanti dell'Ira. Ma la mano ferma con i terroristi fu una scelta politica che non le si può imputare. Manca nella lista delle accuse la guerra delle Falkland. «Forse per evitare l'imbarazzo di dover difendere la giunta militare argentina, quella dei desaparecidos», insinua l'ex ministro del Bilancio dei governi Andreotti rivolto a Bertinotti. Ma manca anche il No all'euro della Thatcher. E quel «Sì» italiano alla moneta unica in accordo con la Germania che - come ha raccontato recentemente Gianni De Michelis - la Lady di ferro considerò un tradimento, ennesimo attrito con Andreotti. La prima vera sconfitta della Thatcher, tutta made in Italy. Questo sarebbe stato uno spunto di attualità, ma accusa e difesa lo hanno evitato. Così come hanno evitato di andare al nocciolo del cambiamento epocale che la Thatcher impose al suo Paese, facendolo tornare una superpotenza. Rifiuto della politica del compromesso a tutti i costi, decisioni nette, etica della responsabilità.
Una rivoluzione troppo radicale per l'Italia di allora e forse anche per quella di oggi. Quindi: assoluzione con 120 voti contro 90 della «giuria popolare» (il pubblico del Teatro Parioli). Con la promessa - strappata ironicamente da Mantovano: «Signora, non lo faccia più». Perlomeno non in Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.