
Non che sia una novità il cosiddetto «selfie», da anni non si fa altro, da quando abbiamo incorporato le macchine fotografiche negli smarthphone e la possibilità di pubblicare foto nei social network. Tantomeno il «self-pubblishing», anche qui da quando c'è internet tutti si self-pubblicano: al principio fu il blog, alla fine il self-book. Nessuno deve giudicarmi, mi giudico da solo, con insindacabile self-decision. Casomai il problema, in teoria, resta farsi leggere. Ma forse, a pensarci bene, neppure tanto.
Insomma la nuova era, già iniziata, di questa spumeggiante self-society, non sarà quella del self-reading? Naturale conseguenza del self-pubblishing, che significa dilettantismo di massa neppure più distinguibile come tale perché non c'è più nessuno a distinguere niente. Cogito ergo sum, ergo scrivo, ergo mi autopubblico, ergo mi autoleggo e chi s'è visto s'è visto. Stringi stringi: che bisogno c'è dell'editore? Mi pubblico io. Che bisogno c'è del lettore? Mi leggo io. Infatti da anni in editoria non si sente più parlare di «passaparola», cosa volete che passino. A me, per esempio, arrivano solo richieste di aspiranti scrittori che vogliono essere letti. Visto che scrivono a uno scrittore hanno letto mezzo mio libro, sono miei lettori? Ci mancherebbe, non fanno neppure finta.
È il nuovo upgrading del sessantottismo culturale, il livellamento di ogni gerarchia all'interno di un'unica gerarchia globale, l'auto-individualismo senza individuo. Per cui se, come ha denunciato en passant in un'intervista anche Aldo Busi, è saltato completamente «il filtro industriale» nella produzione di testi letterari (ma aggiungo anche estetico, gerarchico, culturale), alla fine non si capisce chi dovrà leggere cosa di diverso da se stesso.
Il self-reading è il risultato della scrittura non più in rapporto con niente, è un amo da pesca lanciato per amare e pescare se stessi. Come esperimento scientifico do-it-yourself chiunque abbia un profilo facebook può rendersene conto: scrivete uno status su qualsiasi cosa e subito si riempie di commenti schizofrenici e chilometrici in cui ognuno scrive la sua senza aver letto la tua. È inutile chiedersi «ma cosa c'entra?». C'entra perché conta riempire uno spazio, in biologia si chiamerebbe nicchia evolutiva, in economia quota di mercato, nella psicologia del web è un travaso di nulla nel nulla, una logorrea autoreferenziale.
Zuckerberg lo ha capito quando ha chiamato la bacheca «diario», ossia informare gli altri non della straordinarietà, ma della quotidianità delle proprie vite ordinarie. Mi sono svegliato, sono allegro, sono depresso, ho mangiato, ho pisciato. Non si posta una foto perché ci si sta arrampicando come Tom Cruise sul Burj Khalifa, è sufficiente mostrare lo zampone con il cotechino cucinato dalla zia per capodanno.
È lo stesso fenomeno che, in forme diverse, imperversa ovunque, dal conoscente che ti saluta per chiederti «ciao, come sto?» ai programmi in televisione. Come i talk show, dove in teoria è tutto sociale, dalla piazza pulita al servizio pubblico, e dove apparentemente si litiga, si discute, ci si indigna, mentre in realtà ognuno parla ascoltando se stesso parlare, si chiama self-listening. Dove dall'altra parte si suppone un ascoltatore intento a fare del self-listening, con la televisione accesa solo per postare il suo commento in 140 caratteri. Molte trasmissioni lo hanno capito e pubblicano in diretta i tweet: un'indagine ha rivelato che mandare in onda i tweet aumenta l'ascolto, ossia l'auto-ascolto. Si noti che in tv ormai nessuno commenta mai i tweet inviati, passano in sovraimpressione e basta perché tanto basta.
È come un teatro con due specchi riflessi uno nell'altro al posto del palco e della platea. Il parlamento italiano stesso dà questa impressione: un autoparlamento, un self-parliament. Non riesce a fare una legge elettorale perché vorrebbe eleggersi da solo, vorrebbe le self-elections.
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Bianchetti Andreino
10 Gen 2014 - 18:38
Secondo me la causa di tutto ciò sta nel pesare il valore, i significati e le molteplici interpretazioni della "parola". Un poeta ermetico scrive parole incomprensibili ai più, come un magistrato può mettere su carta un giudizio con parole altamente tecniche che serve uno studioso di diritto e di codici a rivelarne il significato, basta ricordarsi del famoso "latinorum" di Azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Se entriamo poi in certe discipline scientifiche incontriamo un sacco di parole difficili e oscure da capire se non con l'uso di UTET o di TRECCANI. A questo punto o si ha lo stimolo, la curiosità e la voglia di andare a "leggersi" anche i significati di vocaboli oscuri o si rinuncia alla lettura dei testi, come spesso succede. Vuoi vedere però, che di fronte alla parola "metastasi" sparisce qualsiasi pigrizia e ciascuno va a leggersi di tutto e di di più sul significato di quel termine. La lettura è direttamente proporzionale ai nostri interessi, valori, utilità che vogliamo realizzare, alla formazione che ci imponiamo per crearci il nostro futuro e poiché la formazione non finisce mai, ecco che viene utile una lettura in più, un libro in più. Quando invece vogliamo raccontarci, mostrare il nostro passato e nuovi desideri passiamo veloci alla scrittura perché la parola pronunciata, detta, comunicata non viene più ascoltata da nessuno, neppure da quelli che ami o che hai amato. Il tempo può bruciare anche le cose più belle. Sembra di no, ma l'umanità è tremendamente isolata e povera di legami e di sentimenti che ciascuno mette su carta i suoi di sentimenti, affidandoli all'ignoto o a qualche sconosciuto che possa capirti o anche contraddirti se serve. Si preferisce di più la scrittura perché diventa, in questo tempo, l'esplosione dell'anima schiava dei riti, delle apparenze e del politicamente corretto. L'incomunicabilità della parola troppo svelta o troppo difficile da fermarsi nella mente con la lettura, viene sostituita da una scrittura più idonea, per certi versi, a manifestare sentimenti o emozioni nel mondo moderno. Se le parole volano, la lettura si salta, resta la scrittura trasformata in immagine, in slogan, in spot, questa è la parte più dura e difficile in cui si stimolano più le passioni che non le emozioni. Scrivere per leggersi non so quanto senso abbia, è come parlare da soli, o per auto giudicarsi: ci vuole sempre l'altrui parere, l'opposta campana, la musica di tutta l'orchestra.





