Ma siamo davvero sicuri che Andy Warhol sia veramente morto il 22 febbraio 1987 o, piuttosto, è ancora in giro da qualche parte, in compagnia del suo beneamato Elvis o magari con Jim Morrison? Perché sembra proprio che sia stato lui, in persona, ad architettare la clamorosa messinscena che a New York sta mettendo in subbuglio il mondo dell'arte.
La Andy Warhol Estate, che detiene il controllo sull'opera del «guru pop», rilascia autentiche, realizza cataloghi e pubblicazioni, ha deciso di mettere in vendita l'intero suo patrimonio, affidando l'incanto a Christie's. La casa d'aste sta archiviando l'immensa quantità di opere di proprietà dell'Estate. Si parla di oltre 20mila pezzi: 350 dipinti, 1.000 multipli, e poi disegni, foto, oggetti, memorabilia, libri, edizioni, beni appartenuti ad Andy. Le prime immagini a essere diffuse rivelano autentiche «chicche», come i Three Targets del 1963, stimato circa 1 milioni di dollari, che potrebbe battere il record del Green Car Crash, pagato cinque anni fa da un collezionista privato 1,7 milioni di dollari.
Per chi volesse «spendere meno» c'è uno dei primi collage di Jackie O intorno ai 200mila dollari, oppure uno splendido autoritratto su polaroid del 1970, stimato 15mila dollari, ma non è escluso che chi sia alla ricerca di feticci di Warhol non possa essere accontentato per cifre ben più basse. L'operazione dal punto di vista mediatico è eccezionale tanto da oscurare la precedente asta monografica organizzata e gestita direttamente da Damien Hirst, a conferma del grande interesse che Warhol continua a riscuotere nonostante sia passato un quarto di secolo dalla scomparsa. I collezionisti, invece, appaiono preoccupati, poiché esiste il rischio di una svalutazione, o quanto meno di un overbooking su un mercato comunque lontano dai fasti pre-crisi. La domanda è: riuscirà Warhol dall'oltretomba a migliorare, almeno a sostenere, i prezzi alti di un tempo? Fonte di immensi guadagni per chi lo ha acquistato negli anni giusti, oggi potrebbe vedere diminuiti i suoi prezzi, con il conseguente deprezzamento di ingenti patrimoni. Anche i galleristi tremano.
«Bisogna convertire l'arte in denaro» è ciò che ha detto Michael Strauss, chairman della Andy Warhol Estate, una dichiarazione assolutamente in linea con la disincantata poetica dell'autore. L'obiettivo minimo, peraltro, è fissato oltre i 100 milioni di dollari. Una prima parte dell'asta è fissata per il 12 novembre a New York, mentre una successiva contrattazione on line comincerà nel febbraio 2013.
Più che una semplice vendita è giusto dunque parlare di un evento incentrato ancora una volta sull'artista, insieme con Picasso, più popolare del '900, coerente con la provocatoria volontà dell'artista di trasformarsi in un prodotto di massa, in grado di transitare dal mondo dei ricchi a quello della gente comune. «Cinderella», questo il soprannome affibiatogli da Lou Reed, sintesi perfetta tra il candore di Cenerentola e il vampirismo di Dracula, è riuscito a diventare più forte delle sue leggendarie icone: è lui la superstar degli anni '60, lui il vero volto della New York inebetita dal consumismo e della mercificazione. Lui, che prevedeva la sparizione dell'eroe dopo appena 15 minuti di celebrità, è invece salito nell'empireo dell'arte di ogni tempo e non pare aver alcuna intenzione di scendere.
Dal cinema alla pubblicità, dalla moda al design, dallo stile di vita al sistema del business, l'Andy Warhol postumo è riuscito a mettere in piedi un meccanismo che gli attuali media hanno diffuso e amplificato.
Nonostante i tentativi di chi è venuto dopo e le «degenerazioni» di alcuni meccanismi esasperati ad esempio da Jeff Koons o dallo stesso Hirst, rimane ancora al centro dell'interrogativo che in molti continuano a farsi: l'arte ha ancora una valore «sacrale» e unico oppure è sottomessa ai meccanismi del consenso che ne prevedono, implicitamente, lo sputtanamento?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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