Il vero incubo per i "piccoli" è la distribuzione in libreria

Il pericolo per gli "indipendenti" non viene da Mondadori ma dalle avvenute nozze tra chi porta i volumi nei negozi

Il vero incubo per i "piccoli" è la distribuzione in libreria

Mentre tutti cercano di acchiappare il piccione che è entrato dalla finestra (e che qualche danno potrebbe pure farlo, ma limitato) nessuno sembra notare l'elefante che nel frattempo si è introdotto nella stanza e minaccia uno sconquasso. Mentre alcuni famosi autori (da Umberto Eco a Dacia Maraini) firmano petizioni contro l'acquisizione di RCS Libri da parte di Mondadori (per 127,5 milioni di euro, da versarsi solo dopo il via libera dell'Antitrust), unica via per garantire la sopravvivenza della prima, nessuno pronuncia una parola di protesta per l'altra operazione, condotta in porto alcuni mesi fa con l'avallo dell'Antritrust (pur con qualche risibile e aggirabile limite), che ha cambiato il volto del comparto distributivo nazionale: mi riferisco all'acquisizione da parte del colosso della distribuzione Messaggerie Libri (che, oltre a distribuire la gran parte degli editori indipendenti, piccoli e medi, controlla marchi editoriali come Longanesi, Garzanti, Guanda, Ponte alle Grazie, Chiarelettere) dello storico rivale Pde (di proprietà del gruppo Feltrinelli). Operazione che ha fatto sorgere un nuovo soggetto capace di controllare circa il 56% del mercato della distribuzione libraria realizzando una sorta di monopolio di fatto per quanto riguarda la diffusione dell'editoria indipendente. Se poi consideriamo che il restante 38% sarà in mano a Mondadori-Rizzoli, i quali, oltre che editori, sono anche distributori dei propri marchi e a capo di una cosiddetta filiera integrata (riunendo in sé i ruoli di editore, distributore, catena di librerie, “megastore multimediale” e negozio sul web), la frittata è fatta. Ma, lo ripetiamo, il problema non sta nella cosiddetta fusione Mondadori/Rizzoli. Non solo perché simili fenomeni (anche se con concentrazioni minori) sono già accaduti all'estero, nei Paesi di tradizione libraria più avanzata (Inghilterra, Germania, Francia, Stati Uniti) senza contraccolpi per il pluralismo. E poi perché, come ha scritto di recente Alessandro Gazoia (saggista e editor di minimum fax) su Internazionale , «le concentrazioni non sono interessate per principio a uniformare l'offerta. Se il mercato premia il “marchio” Adelphi come - perdoni Calasso il concetto e l'espressione - luxury brand, chi ha Adelphi nel proprio gruppo farà bene, per puro calcolo commerciale, a lasciarle ampia autonomia. Come del resto è accaduto, per il gruppo Mondadori, con Einaudi».

Come al solito si guarda da una parte quando il nemico avanza dall'altra. Col risultato che ora la stragrande maggioranza dei piccoli e medi editori indipendenti dovrà passare per forza attraverso lo stretto canale di Messaggerie (sempre che trovi la porta aperta) per collocare i propri prodotti in libreria, nell'assenza di alternative equiparabili. Questo sì con grave danno per il pluralismo delle idee e la vivacità progettuale. Senza contare che un unico distributore che si occupa di un numero così elevato di sigle editoriali (e che per giunta negli ultimi anni ha proceduto a una drastica riduzione delle sue reti di vendita) come potrà curare nel migliore dei modi gli interessi di tutti, e soprattutto dei più piccoli? Per non ridursi a combattere una battaglia contro i mulini a vento, agli editori indipendenti non resta che adeguarsi ai tempi e correre ai ripari individuando nuove soluzioni imprenditoriali e distributive. L'editoria digitale potrebbe ovviamente essere una soluzione (dal momento che aggira il problema) e forse lo sarà; ma ancora stenta a decollare e nel frattempo per sopravvivere occorre inventarsi nuove logiche commerciali per raggiungere i lettori, sfruttando al massimo internet e ritornando a una dimensione artigianale, quasi da vendita a porta a porta, per corrispondenza, magari grazie anche all'aggregazione con propri pari.

Una cosa è certa: l'attuale sistema distributivo è obsoleto, l'e-book e la nuova e sempre mutevole fisionomia del mercato finiranno per metterlo definitivamente fuori uso ma nel frattempo tocca farci i conti. La vecchia logica della “visibilità” in libreria vale per i grossi gruppi ma non per i piccoli e medi editori. È un mito logoro. Oggi, ancora più di un tempo, quello che conta è che di un libro si parli, si discuta: in tivù, sui giornali, e specie su internet. Questo è il miglior modo per vendere i propri libri. La visibilità serve ai grandi perché devono esserci, obbligati come sono a performance di vendita sempre al limite dell'umano; e anche perché se no qualcuno finirebbe per pensare che non sono poi tanto grandi.

Ma al piccolo e al medio editore (come ai grandi ovviamente, ma per loro questo già accade) serve solo che riguardo ai suoi libri circoli il passaparola. E questo compito passa anche attraverso il giornalismo culturale e la critica letteraria.

*Scrittore ed editore

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