Verso la fine del secolo americano

Davanti a 300 persone, nella cornice del Santuario romano di San Salvatore in Lauro, Alain De Benoist, Marcello Foa e Luca Giannelli hanno dibattuto criticamente sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo

Verso la fine del secolo americano

Nella straordinaria cornice romana del Santuario di San Salvatore in Lauro si è tenuto sabato 2 aprile il convegno dal titolo Il problema americano. Contro l’americanismo di maniera e contro la retorica antiamericana organizzato dal quotidiano online L’Intellettuale Dissidente in collaborazione con il suo circolo dei lettori. Tante sono state le persone, circa 300, tra cui qualche volto noto (Pietrangelo Buttafuoco tanto per citarne uno), che hanno partecipato con grande attenzione ed entusiasmo ad un dibattito indipendente senza etichette di partito o capibastone della politica. L’appiattimento del mainstream su posizioni atlantiste e la subalternità amministrativa del continente europeo agli Stati Uniti sembrerebbero aver stancato una buona parte dell’opinione pubblica che ora, a quindici anni dagli attentati dell’11 settembre, a quasi otto dalla fine dell’amministrazione Bush, agli sgoccioli del secondo mandato di Barack Obama e alla vigilia di nuove elezioni vissute tra disagi e debolezze, vuole comprendere il secolo post-americano. Se poi c’è un parterre così insolito perché non andare ad ascoltare l’altra campana. A dibattere su questa tematica quanto mai attuale sono stati infatti Alain De Benoist (saggista e editorialista della rivista francese Eléments), Luca Giannelli (giornalista TgLa7 e autore di New York Confidential) e Marcello Foa (direttore del gruppo del Corriere del Ticino, editorialista de Il Giornale e autore de Gli stregoni della notizia) moderati da Lorenzo Vitelli (direttore della casa editrice Circolo Proudhon).

Ad aprire le danze è stato il responsabile del circolo dei lettori romano Lorenzo Borré che ha immediatamente lanciato un’affermazione divenuta in seguito l’interrogazione centrale dell’intero convegno: “oggi finisce il secolo degli Stati Uniti”. Ma ha senso ancora, dopo cento anni di egemonia assoluta - esercitata e contestata a tutti i livelli - parlare del tramonto di questo impero? E soprattutto: qual è stata la percezione di noi europei sulle faccende d’Oltreceano? Perché da una parte la maggioranza di quelli che vivono nel nostro emisfero crescono con il sogno americano, dall’altra, usiamo termini come “americanata” per indicare un qualcosa di grottesco, vistoso, ridicolo. Ed è proprio questa la chiave di volta che i relatori vogliono usare per abbattere i preconcentti che ormai sembrano aver attecchito nell’immaginario collettivo occidentale.

“Il nostro stile di vita è profondamente americano. E’ stato un processo capillare rinnovato dopo la seconda guerra mondiale, alimentato da tutti quei prodotti - insospettabilmente significativi - come jeans e cocacola che hanno permeato la nostra vita sociale”, introduce Lorenzo Vitelli che poi ha invitato Alain De Benoist a rispondere alla domanda: perché l’America è riuscita ad elevarsi - ed ha voluto elevarsi - a “faro della democrazia” nel mondo? Non usa mezze misure l’intellettuale francese: “perché i padri fondatori degli Usa non si allontanarono dall’Europa intesa come civiltà ma ne vollero creare una nuova fondata sul progetto biblico-puritano”. L’iniziale isolazionismo dell’America (“non farsi contaminare dal mondo esterno”) si è col tempo trasformato nella volontà di intraprendere una vera e propria crociata “contro tutti quei nemici che vengono da loro dipinti come l’incarnazione del Male”. “La mia non è americanofobia”, spiega De Benoist, “le fobie sono malattie dello spirito, piuttosto è una critica all’universalismo che in realtà è un etnocentrismo mascherato, vale a dire l’imposizione dell’american way of life”.

Invitato da Lorenzo Vitelli a raccontare quella che il sociologo statunitense Christopher Lach chiamava “il tradimento delle élite”, Luca Giannelli si è soffermato in seguito sull’essenza dello spirito americano e le contraddizioni di quel mondo. “E’ inutile parlare di lobby delle armi o di complesso militare-industriale, gli Stati Uniti sono in parte intrinsecamente violenti”. Basti prendere la frase di James Colt, ideatore della rivoltella per dimostrarlo: “Dio ha fatto gli uomini alti e bassi. Io li ho resi tutti uguali”. Ma democrazia e violenza non sempre vanno di pari passo: “gli americani sono un popolo isolazionista governato da interventisti”, dice Giannelli, e invita i presenti a scoprire l’America underground piuttosto che quella mainstream idolatrata dalla maggior parte degli opinionisti europei.

E’ lì che subentra il giornalista ed esperto di comunicazione Marcello Foa. Perché i massmedia ci hanno raccontato un’America piuttosto di un’altra? Perché ci siamo appiattiti su uno sterile atlantismo? Perché oggi è difficile sostenere una critica degli Stati Uniti? “Quando ero giovane ero filo-americano perché credevo nella libertà”, racconta Foa, “poi mi sono resoconto che viviamo in una dittatura e mi sono ricreduto sulle mie vecchie posizioni”. Poi torna sul ruolo dei massmedia: “i giornalisti sono complici perché creano dei frame ovvero delle cornici che inscatolano le notizie, chiunque esce da questo recinto viene etichettato, oscurato o marginalizzato dal dibattito”. Un esempio recente? “Se la città siriana di Palmira fosse stata liberata dagli americani ora tutti ne parlerebbero, ma esce dal frame perché i meriti andrebbero all’esercito di Assad, allora non se ne parla o se ne parla diversamente”. Ecco, l’ “America” è diventata un grande frame. E ad uscirci ci ha pensato ancora una volta Alain De Benoit quando nel finale gli viene chiesto se all’Europa conviene Hillary Clinton o Donald Trump.

“La Clinton è la prosecuzione della dottrina Bush, Trump è uno spaventapasseri che dice tutto e il suo contrario” risponde il francese, e continua: “da noi esistono partiti filo-americani ma in America non esistono partiti filo-europei, e allora cosa dobbiamo aspettarci?”. E’ semplice: o la fine del secolo americano, o una lettura degli Stati Uniti più critica e meno faziosa.

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