Eccomi volterriano. Come può un cattolico praticante quale io sono ammirare il filosofo che tanto scrisse contro la religione? Può benissimo farlo, se ha letto Voltaire cattolico (Lindau, pagg. 192, euro 17) in cui Antonio Gurrado quasi ribalta l'immagine del grande illuminista. Non con una nuova interpretazione ma con nuovi materiali: fatti, quindi, e non opinioni. In questo volume, per la prima volta vengono raccolte le lettere scritte da Voltaire in italiano e sono tante quelle devotamente rivolte a papi, cardinali, monaci, teologi e preti vari. Gurrado ha lavorato a Oxford presso la Voltaire Foundation (il cui direttore firma la prefazione: un sigillo scientifico) ed è riuscito a mettere le mani su lettere che impongono di riscrivere intere voci enciclopediche e di ripensare un personaggio tanto conosciuto quanto equivocato, più famoso per quello che non ha detto che per quello che ha detto davvero.
«Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo»: bellissima frase che tutti ricollegano a Voltaire, peccato solo che Voltaire mai la pronunciò e mai la scrisse, nemmeno in altra forma. «Io sono un buon cittadino e un vero Cattolico»; «un buon Cattolico come me»; «sono nato Francese e Cattolico, e vivendo in un paese protestante devo esacerbare il mio zelo per la patria e il mio rispetto per la religione»: affermazioni che non fanno certo venire in mente l'autore del Dizionario filosofico ma che proprio da lui furono vergate e firmate (la terza durante il soggiorno nella calvinista Ginevra dove ebbe modo di verificare che la deprecata intolleranza cattolica era poca cosa rispetto all'intolleranza non cattolica).
Il carteggio con Benedetto XIV è notevolissimo. Fra i due corre, a dispetto di tutto, un'evidente stima reciproca. Il filosofo si rivolge al Papa chiamandolo «Beatissimo padre» e, nel suo pessimo italiano, «capo della vera relligione», dichiarandosi umilmente «un de j piu infimi fedeli». Nella terza lettera si sbilancia, abbastanza sorprendentemente per chi sappia i trascorsi, a favore dell'istituzione ecclesiastica: «Tra i litterati Monarchi, i piu dotti furono sempre i sommi pontefici». Benedetto ricambia con lodi non formali e non dovute che scandalizzarono i giansenisti (ogni epoca ha i suoi papisti più papisti del Papa) spingendoli a porre, sulla loro gazzetta, una domanda di tono sedevacantista: «C'è ancora della fede sulla terra?». Voltaire dedica al Papa la tragedia Maometto il cui protagonista definisce «fondatore d'una falsa e barbara setta», «falso profeta« e via con quella che gli intolleranti di oggi chiamerebbero islamofobia. Grazie al Maometto, al carteggio papista e ad altre veloci letture a cui Voltaire cattolico mi ha spinto, presumo di capire che in Voltaire non ci fosse avversione verso la religione ma verso il fanatismo, non verso il cattolicesimo ma verso il clericalismo. Sono cose molto diverse, credo.
E non lo si accusi di essere un voltagabbana. I suoi testi più discordi sul tema della fede non sono stati scritti in periodi diversi ma contemporaneamente. Non era nemmeno un doppiogiochista per motivi d'interesse: i complimenti a papi e cardinali poteva risparmiarseli, non gliene veniva niente. Casomai è il contrario, è l'anticlericalismo a indurre il sospetto di opportunismo: Gurrado, nell'introduzione, fa notare come Voltaire si scagli contro il potere temporale precisamente quando questo entra in conflitto col potere reale. Per una questione di tasse, fra l'altro. La libertà religiosa non c'entrava nulla, c'entrava il bisogno di quattrini della monarchia a cui Voltaire era legatissimo. La rivoluzione francese arruolò il suo cadavere facendone una specie di precursore ma colui che si firmava con fierezza «gentiluomo di camera del re» fu il più monarchico e il più antiparlamentare dei filosofi illuministi. La sua sincerità è provata dal fatto che non cambia versione nemmeno quando gli farebbe comodo: «Fuori dalla Chiesa non c'è salvezza» non lo scrive al Papa bensì a un amico protestante che di sicuro avrebbe fatto a meno.
Nella sua tenuta, Voltaire finanziò la costruzione di una bella chiesa dove ogni tanto faceva la comunione, suscitando parecchie perplessità: come una Vladimir Luxuria dei suoi tempi. Morì vecchio nel suo letto dopo avere pubblicato un'infinità di libri di successo e per questo lo invidio, e per il suo coraggio nello sfidare le accuse di leggerezza e incoerenza.
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