Oggi, il cheratocono fa meno paura. Grazie a tecniche micro-chirurgiche e farmacologiche, è possibile infatti bloccare il progredire incessante di questa patologia con spiccata predisposizione genetica, evitando quasi sempre il trapianto corneale: «Questa malattia provoca una deformazione progressiva della cornea, che si altera assumendo una forma a cono, all'apice del quale il tessuto si va sempre più assottigliando», spiega il dottor Marco Abbondanza, specialista in patologia generale, clinica oculistica ed oftalmologia a Roma e a Milano (www.abbondanza.org). «Quanto più precoce è l'insorgenza della patologia (spesso, subito dopo la pubertà), tanto più aggressiva ne è la manifestazione».
Sempre bilaterale, il cheratocono tende ad avere un andamento differente nei due occhi: «Il sintomo principale è il peggioramento della vista che non si riesce a ripristinare in forma ottimale (dieci decimi di vista) nemmeno con lutilizzo di lenti correttive. Per una diagnosi certa vi è un esame specifico: la topografia corneale, che consente un'analisi del tessuto della cornea».
Fino a quindici-venti anni fa, la tendenza era quella di tenere la patologia sotto controllo, per monitorarne l'evoluzione che in un caso su quattro, portava al trapianto: un intervento piuttosto invasivo e non esente da rischi, il principale dei quali è il rigetto. Oggi sappiamo che invece è importante intervenire il più precocemente possibile. Da qualche anno, la messa a punto di diverse metodiche ha aperto nuove possibilità: «Una di esse è la cosiddetta tecnica Intacs, importata dagli Usa, che consiste nell'applicazione di minuscoli anellini che, da un lato, risollevano il tessuto che cede e, dall'altro, tendono ad appiattirlo, in modo da contrastarne la deformazione a cono», spiega il dottor Abbondanza. «Ad essa si affianca un'altra tecnica micro-chirurgica che io stesso ho messo a punto, la Mark: tramite incisioni ben calibrate nel tessuto corneale, viene rimodellata la curvatura fisiologica della cornea, così da limitarne l'irregolarità.
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