Cos'è un classico? Un'opera che sa parlare a tutti gli uomini di ogni tempo e di qualsiasi civiltà. Ecco perché Omero e Shakespeare, Raffaello e Caravaggio, Dante e Leopardi sono tali, al contrario di altri artisti che, dopo aver brillato per una stagione, sono stati, più o meno velocemente, confinati nelle biblioteche o destinati al macero.
E di cosa parla un classico? Di ciò che interessa di più all'uomo: della realtà del mondo e del senso della vita, fatta di desideri e frustrazioni, di domande e, ma non sempre, di risposte; risposte che, invece, non si celano sempre tra le pagine dei libri, ma vengono esposte da traduttori e interpreti dei classici nelle aule scolastiche o nelle sale teatrali. Già, perché, nonostante il tanto declamato trionfo del virtuale, unito all'esaltazione parossistica dell'immateriale, ciò che più manca, oggi, è proprio la presenza fisica, e spesso scenica, di uomini in carne ed ossa che sappiano interpretare le opere degli immortali. Infatti, per quanto la scuola sedicente «buona» insista sull'intercambiabilità dei docenti, cercando di spezzare definitivamente il rapporto personale maestro-studente, spina dorsale di una scuola buona davvero, questo rapporto è sempre più importante in una società che ha inesorabilmente espulso tutte le altre figure di riferimento.
In Italia, il fenomeno degli scrittori sul palco è iniziato in sordina, una ventina d'anni fa, con la prima edizione del Festivaletteratura di Mantova che, lasciando il salone e anche il tinello ad altre città, è diventato il salotto dove autori e lettori si incontrano per parlare, ascoltare, discutere. Fu poi il turno di Vittorio Sermonti, che con le sue letture dantesche ha riempito all'inverosimile teatri e persino cattedrali, probabilmente stracolme di quegli stessi studenti che sui banchi di scuola cedevano al sonno, tramortiti dalla noia di un discorso letto e non recitato. Il risultato migliore, in tempi recentissimi, è stato comunque raggiunto da Alessandro D'Avenia, il cui libro dedicato a Leopardi, L'arte di essere fragili (Mondadori, pagg. 216, euro 19) domina da mesi la classifica dei libri più venduti e, soprattutto, nella versione teatrale fa il tutto esaurito ad ogni replica. Sarà che, stufi del Leopardi triste e pessimista imparato a scuola, gli studenti accorrono a imparare che c'è anche un Leopardi che, nella fragilità, sa amare la vita, come insegna il prof. D'Avenia, capace di rendere efficace, sul palcoscenico, la comunicazione che, da letteraria e verbale, si fa totale.
Passando da un estremo all'altro, ossia dalla delicatezza leopardiana alla possanza michelangiolesca, il risultato non cambia: il trionfo di pubblico è garantito; il merito, in questo caso, è di Vittorio Sgarbi, che col suo #Caravaggio miete successi insegnando ad apprezzare l'opera di un gigantesco genio. La scenografia è inesistente, a parte tre riquadri sul fondo, dove scorrono i capolavori del genio lombardo; tutto lo spettacolo si regge sull'inventiva e sull'efficacia comunicativa di Sgarbi, il quale riprende temi che ogni studente liceale dovrebbe aver affrontato nelle ore di Storia dell'arte, trasformandoli in argomenti di attualità, mostrando come la realtà descritta da Michelangelo non sia diversa da quella che ci circonda. L'uomo, con le sue bassezze e i suoi slanci non cambia, e renderlo decifrabile diventa più facile se, invece di leggere le pagine di un libro, ci lasciamo trasportare da un interprete che diventa vivace protagonista.
Ecco il motivo per cui non solo si vendono con successo libri «letterari» come quello su Leopardi di D'Avenia o il saggio su Caravaggio di Sgarbi, ma addirittura, passando dalle lettere alla scienza, le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli che, dopo aver mietuto successo in Italia - 350mila copie vendute - viene comprato da tutti i principali editori stranieri e distribuito in tutto il mondo. Il merito di tale successo va ascritto, in parte, anche alla capacità comunicativa di Rovelli, che tanto nella Lectio magistralis quanto nelle presentazioni in giro per l'Italia è riuscito a presentare argomenti difficilissimi, di solito confinati a un ristretto circolo di specialisti, rendendoli accessibili al grosso pubblico di studenti o semplici curiosi. Lo stesso avviene con un altro scienziato e filosofo, Giulio Giorello, che riempie regolarmente librerie, festival e teatri ogni volta che presenta uno dei suoi libri, siano essi di scienza o, come accade spesso, di letteratura, da Shakespeare a Joyce, passando per Gilgamesh per arrivare a Pound e, ultimo ma non meno importante, ancora Leopardi, il cui pensiero scientifico non è inferiore alla produzione letteraria, come dimostra nel libro scritto a quattro mani con Edoardo Boncinelli, il recentissimo L'incanto e il disinganno: Leopardi (Guanda, pagg. 160, euro 16). Anche in questo caso, il sapere esposto cozza contro le formulette imparate a memoria, e la vivacità dei due autori rende attuale e pulsante un Leopardi sideralmente lontano dal luogo comune del gobbo malinconico e malaticcio.
Per Giorello, l'autore delle Operette morali è un solido filosofo della scienza, classico anche nel senso di antiromantico, che sa usare in modo raffinato e micidiale l'arma dell'ironia «per smascherare la retorica insopportabile dei progressisti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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