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Da Dini mezza sfiducia a Prodi: "Libertà di voto in Parlamento"

Presentato il nuovo partito con tre senatori: "Nessun cedimento ai ricatti dell’ala radicale Romano mangia il panettone? Dipende da lui"

Da Dini mezza sfiducia a Prodi: "Libertà di voto in Parlamento"
Roma - Se Romano Prodi arriverà a mangiare il panettone? «Mi auguro di sì, perché il panettone fa bene a tutti. Però dipende da lui», ha risposto serafico Lamberto Dini dopo che ieri mattina, all’Hotel Plaza affollato da un migliaio di aficionados, aveva lanciato la sua «proposta liberaldemocratica», manifesto in 12 punti della nuova formazione dell’ex premier che ha mollato tanto il nascituro Partito democratico quanto la Margherita in dissolvimento. Dipende dal premier insomma, il restare in sella almeno sino a Capodanno. Ma se non vuol essere disarcionato proprio da Dini, stia attento al protocollo sul welfare e non ceda ai richiami della sinistra, perché questo è più di un semplice avvertimento: «Se si tratta di mettere un po’ di cipria, valuteremo. Ma se il protocollo cambia nella sostanza, siamo pronti a votare contro».

Il messaggio non è sufficientemente chiaro e netto? Lambertow insiste: «Io resto nel centrosinistra, ma con libertà di pensiero e con la convinzione, volta per volta, di valutare i provvedimenti della maggioranza». Il nuovo partito Ld (da leggersi pariteticamente come sigla dei liberal democratici o come le iniziali del fondatore) passa all’appoggio esterno? Peggio, perché l’unico esponente di governo, una sottosegretaria, che ha seguito Dini se ne guarda bene dal rinunciare all’incarico; e in ogni caso l’«appoggio esterno», secondo gli usi e costumi della prima Repubblica, comporta comunque un vincolo di rispetto dei patti. No, qui siamo ben oltre, Dini ha annunciato la politica delle «mani libere», se il governo vuole i suoi voti deve trattare volta per volta. Delirio d’onnipotenza, febbre di Radicofani (ricorderete Ghino di Tacco), ricatto? Va detto che le minacce di Dini son fondate, perché oltre alla sottosegretaria alla Giustizia Daniela Melchiorre e al deputato Italo Tanoni che pesano poco o nulla, al Senato è forte di tre voti, il suo e quelli di Natale D’Amico e Giuseppe Scalera. Sufficienti a far cadere governo e maggioranza, che a Palazzo Madama sono appesi al filo di due voti.

Ed è vero che la rocca di Radicofani ormai è affollata, pure Clemente Mastella e Tonino Di Pietro hanno questo potere, ma il primo lo userà soltanto per non farsi strangolare dal referendum elettorale, e il secondo è ormai uso minacciare per poi sempre fare marcia indietro. Dini invece, fa sul serio. E potrebbe farlo subito.

Appunto sul welfare, perché «il ricatto viene da parte della sinistra estrema, non da noi che vogliamo confermare quanto già approvato dalle parti sociali», ha insistito Dini ribadendo che «il governo durerà se il presidente del Consiglio sarà capace di convincere l’estrema sinistra e i moderati». Mani libere, no? D’Amico incalza, aggiunge che se quelli della sinistra presenteranno emendamenti al protocollo sul welfare, «allora anche noi faremo nuove proposte nel senso di un maggior rigore, e si assumeranno la responsabilità di aver sfasciato il quadro politico».

Il leader del resto ha citato il presidente Napolitano contro l’uso della fiducia, si augura che «si lasci votare il Parlamento sugli emendamenti che saranno presentati da una parte e dall’altra». Ma sì, mani libere anche per Scalera, che in commissione Vigilanza chiederà «nuove regole per i programmi di approfondimento» della Rai.

Aleggiava l’ombra di Silvio Berlusconi sulla manifestazione del Plaza, inutile nasconderlo. Così i giornalisti hanno domandato a Dini che ne pensa dei ripetuti vaticini del leader dell’opposizione su elezioni anticipate tra pochi mesi, e delle allusioni a imprecisati «scontenti» nella Margherita che sarebbero pronti a far cadere il governo. Lungi dall’offendersi, ha risposto tranquillamente: «Non so se si voterà a primavera, certo Berlusconi parla con tutti e certamente anche nella Margherita ci sono degli scontenti perchè esclusi dai quadri del Partito democratico... Non certo io però, visto che non ho mai cercato di entrare nelle liste del Pd». Per quanto riguarda infine il suo rapporto con Berlusconi, il leader di Ld ha buttato lì: «Certamente non gli sarà passata inosservata la nostra azione sul Dpef e i distinguo che noi facciamo sulla finanziaria e sulle politiche economiche del governo».
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