Paolo Guzzanti è sotto accusa. Ohibò: e che ha fatto di male? Voleva sapere, da presidente della commissione Mitrokhin, se alcuni politici, giornalisti e uomini delle istituzioni fossero sul libro paga dei servizi segreti russi. Colpa delle colpe, ha contattato - direttamente o indirettamente - ex dirigenti del Kgb per capire quali erano le loro fonti in Italia e, onta delle onte, ha fatto domande anche su Romano Prodi, il presidente del Consiglio in carica all'epoca in cui il dossier Mitrokhin fu consegnato dai servizi segreti inglesi a quelli italiani, i quali prontamente lo seppellirono in fondo a un cassetto, cercando di dimenticarlo e soprattutto di farlo dimenticare agli italiani. Visto che il nostro Guzzanti è accusato di fatti gravi - ossia aver cercato di capire come mai quel plico zeppo di nomi e cognomi illustri, sospetti di simpatie per Mosca, sia stato nascosto dai governi di centrosinistra -, vale la pena di ricostruire una vicenda in cui questo giornale e Guzzanti ebbero un ruolo di primo piano. Era il settembre del 1999 quando sul Times uscì la storia di uno sconosciuto archivista del Kgb, che, dopo essersi messo sotto la protezione dei servizi di Sua Maestà britannica, aveva spifferato tutta la rete di spie dei russi in Europa. Gli 007 inglesi, dopo aver verificato che quella lista non era una bufala, avevano girato l'elenco ai colleghi degli altri Paesi, italiani compresi.
In quei giorni il nostro quotidiano era entrato in possesso di documenti su quei comunisti che negli anni Sessanta trafficavano con Mosca e sui rapporti tra Pci e Kgb. Vista la notizia del Times, dunque, saltai sulla sedia. Chiamai Guzzanti, che era in America in viaggio di nozze, e gli dissi: devi occuparti di questa faccenda, scoprire chi ha imboscato la lista degli italiani al servizio dell'Urss e soprattutto dobbiamo costringere il governo a renderla pubblica. Paolo, che è un giornalista straordinario e un uomo coraggioso e appassionato, si buttò nell'inchiesta con lardore che conoscete. Cominciò a ricostruire la vicenda, cercò di capire dove fosse finito l'elenco, ma soprattutto chiese a gran voce che si conoscessero i nomi della lista.
A quell'epoca, al governo c'era Massimo D'Alema. Il leader Maximo per un po' fece finta di nulla, disse che l'elenco non c'era, che lui non ne sapeva niente. Ma quando capì che noi non avremmo mollato l'osso, dopo aver urlato che il Giornale era un covo di golpisti, alla fine si arrese e consegnò la lista alla magistratura. Lo fece con rabbia, dopo molta esitazione, esitazione che spinse il nostro Forattini, il quale allora lavorava per un altro giornale, a disegnarlo in mezze maniche come un correttore di bozze, col bianchetto in mano (per quella vignetta D'Alema intentò una causa miliardaria contro Giorgio).
I nomi della Mitrokhin erano altisonanti: giornalisti, politici, ambasciatori, grand commis. Tutti indicati come confidenti dei servizi russi, tutti catalogati per benino, con tanto di scheda e gusti. La lista finì in Procura ma ci si arenò. Imboscata prima, scomparsa nel porto delle nebbie dopo. D'Alema e altri 19 furono indagati pro forma, ma nessuno fu mai chiamato a rispondere della ragione per cui quell'elenco, ritenuto attendibile dagli 007 britannici, fosse stato lasciato «dormire» dai nostri agenti del controspionaggio, dal nostro governo. Nessuno fu praticamente interrogato, neppure Vasilij Mitrokhin, il meticoloso archivista che aveva catalogato uno ad uno i nomi degli spioni e che era disposto a testimoniare anche in Italia.
Ora che Mitrokhin è morto, che sono sepolti anche alcuni dei presunti spioni, che la vicenda dei 261 italiani «agganciati» dal Kgb è sotterrata sotto quintali di sabbia, ora - nel più puro stile sovietico - vogliono mettere nella fossa anche Guzzanti, gettandogli addosso un certo numero di palate di terra, anzi di fango.
Ripeto: la sua colpa è di aver cercato di capire perché Prodi e D'Alema non mossero un dito nella vicenda delle presunte spie di Mosca. Paolo voleva conoscere - e far conoscere, come fanno i giornalisti - le ragioni del disinteresse verso un documento che avrebbe dovuto far scattare un capo di governo sulla sedia, indurlo a convocare un vertice dei servizi per accertare subito se i nomi nell'elenco fossero o no di traditori dell'Italia, se quegli uomini avessero o meno messo a repentaglio la sicurezza dello Stato. Caro, ingenuo Paolo. Con l'inchiesta Mitrokhin, oltre che con i tuoi meriti da giornalista, ti sei guadagnato un posto in Senato e, continuando la tua battaglia, hai chiesto che venisse istituita una commissione d'inchiesta sul rapporto Mitrokhin e per quattro anni, dal 2002 al 2006, ti sei battuto perché venissero a galla le responsabilità, perché si facesse luce su una ragnatela rossa stesa intorno all'Italia, senza accorgerti - o forse sì, te ne sei accorto, ma hai tirato diritto -, che un ragno velenoso cercava di legare te con sottili fili vischiosi, tentando di farti cadere in trappola.
Ora escono le intercettazioni tra te e Scaramella, un consulente della Mitrokhin (a proposito: dove sono i garantisti che s'indignarono, gridarono al complotto, quando il Giornale riportò le intercettazioni tra Fassino e Consorte sul caso Unipol? Dissero che avevamo pubblicato la conversazione di un deputato - ricordate? «Abbiamo una banca?» - e s'indignarono perché i discorsi di un parlamentare debbono essere protetti dall'immunità. E Guzzanti chi è, invece? Il figlio della serva? È o no un senatore? Va tutelato o la tutela è riservata solo a Fassino e ai suoi compagni?). Già a sinistra parlano di scandalo perché tu e Scaramella avete discusso di Prodi. Alzano polveroni perché tu avresti voluto sapere se anche Prodi e D'Alema fossero coinvolti con l'affare Mitrokhin. Secondo loro il presidente di una commissione d'inchiesta che vuole capire come mai due presidenti del Consiglio non si sono occupati degli spioni russi, agli informatori non dovrebbe fare domande sugli ex capi di governo, ma sul ragionier Filini. Secondo loro tu avresti dovuto al massimo informarti di che tempo fa in Siberia, quando qui nevica. La verità cari lettori, e caro Paolo, è che i compagni sono bravissimi a capovolgere le responsabilità.
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