Questa mattina 15mila colletti bianchi bancari, che potrebbero raddoppiare negli auspici dei sindacati, scenderanno in piazza contro le banche. Lo sciopero dell'ottobre 2013 fu infruttoso perché l'Abi, la lobby del settore, non si mosse di un centimetro, ma questa volta la posta è più pesante.
In gioco, insieme al nuovo contratto nazionale, c'è il destino di un settore che vede le mansioni dei suoi 309mila addetti disintermediate dalla tecnologia: si pensi ai cassieri. In ultima analisi è in discussione lo stesso ruolo dei sindacati in una Italia che, con il «rottamatore» Renzi, cerca un equilibrio dopo la fine dei salotti buoni. Ad aggiungere dinamite ci sono poi il diktat della Bce alle fusioni dopo gli stress test e il decreto legge con cui il governo, su ordine dell'Eurotower, vuole scardinare le popolari (da sempre terreno dei dipendenti-soci), trasformandole in spa. Secondo Assopopolari sono in discussione 20mila posti di lavoro, così come la restrizione dell'area di applicazione del contratto, cullata dall'Abi, potrebbe portare fuori dal settore del credito 50-60mila addetti.
I sindacati confederali lo sanno bene, tanto che oggi affiancheranno i leader di categoria nei quattro cortei o sit-in previsti a Milano, Roma, Ravenna e Palermo. In sostanza, anche se fissare lo sciopero a ridosso del fine settimana ha un sapore anni Settanta, è attesa una adesione bulgara, soprattutto tra le cooperative: nel 2013 si oscillò tra il 55% calcolato dall'Abi e l'80% reclamato dai sindacati.
Proprio la grande avanzata di Internet dovrebbe, tuttavia, contenere i reali disservizi per i piccoli risparmiatori. Le filiali, tranne quelle di qualche istituto dove per tradizione non si sciopera, saranno quasi tutte sbarrate, anche per la difficoltà dei capi del personale a rispettarne gli organici minimi di funzionamento. L'operatività sul web - dove i computer sostituiscono quasi in toto l'uomo e da cui passa ormai la grande parte delle operazioni di base (come bonifici o trading in Borsa) - dovrebbe però essere garantita. Fatto salvo qualche probabile ritardo sul fronte dell'assistenza alla clientela. In una banca commerciale un giorno di lavoro di una filiale vale in media 6-7mila euro in termini di ricavi. Denaro che oggi non entrerà in cassa ma che, con ogni probabilità, sarà recuperato da lunedì, quando la clientela rimedierà allo stop forzato. Così come va considerato il risparmio che le banche faranno in termini di costi operativi, visto che i piccoli sportelli di rado sono in pareggio. Più che il reale danno economico da sempre a preoccupare l'industria bancaria è però l'asset delicatissimo della sua immagine, della sua reputazione verso l'uomo della strada che la considera corresponsabili del credit crunch e resta disorientato davanti agli stipendi dei vertici. La stessa Bce ieri ha avviato una indagine sui superbonus. Un fianco scoperto sfruttato dai sindacati che oggi faranno indossare ai manifestanti migliaia di magliette con le scritte Io non sono un banchiere e Io sono un bancario a servizio del Paese. «Entro due settimane ci aspettiamo un radicale cambiamento nell'atteggiamento» dell'Abi, in caso contrario gli scioperi continueranno, attacca il capo della Fabi, Lando Maria Sileoni che vuole chiarezza sulle spese che le banche sopportano per consulenze esterne e appalti.
«Serve un'Abi meno miope e più lungimirante», sottolinea il leader della Fisac-Cgil Agostino Megale, che chiede alle banche di riavviare il
negoziato «rimuovendo le attuali pregiudiziali» su Tfr e scatti di anzianità. Da domani ci sono due mesi di tempo per trovare un accordo sul nuovo contratto: a fine marzo scade l'ultima proroga concessa da Palazzo Altieri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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