Il Bitcoin «sbanca» anche a Chicago

Debutto record sul mercato dei future: la moneta virtuale oltre i 18mila dollari

Rodolfo Parietti

Con un rialzo del 20%, il future sul Bitcoin ha debuttato ieri sulla Cboe Futures Exchange di Chicago. È un esordio record che dà la misura della febbre da cripto-valuta e delle aspettative crescenti di una suo continuo apprezzamento. Lo spread tra il valore attuale del bitcoin, quotato attorno a 16.700 dollari, e quello del future a gennaio è infatti già di 2.000 dollari. Si tratta ovviamente di una scommessa che rischia di accentuare il tratto speculativo e volatile delle monete virtuali, alimentando anche il cosiddetto short selling, cioè la possibilità di guadagnare sul calo del prezzo.

Di fatto, però, gli ingressi al Cboe ora, al Cme Group lunedì prossimo e al Nasdaq nel 2018, sanciscono l'accettazione del bitcoin come strumento finanziario da parte delle Borse. È uno sdoganamento in piena regola, ma non ancora sufficiente a cancellare i timori che il tutto sia una gigantesca bubble destinata a scoppiare. Per molti detrattori, come il ceo di JP Morgan Jamie Dimon, che ha paragonato i bitcoin alla bolla dei tulipani del '600, deve suonare come un monito la bancarotta nel 2014 di Mt.Gox, la piattaforma di scambio più grande a livello globale. Così, più quel mondo finisce sotto la luce dei riflettori, più sembra crescere l'urgenza di una sua regolamentazione. Chiesta ieri dalla Bce attraverso Ewald Nowotny, uno dei suoi consiglieri, valutata dalla Corea del Sud, l'eventuale costruzione di steccati normativi finirebbe per snaturare del tutto qualcosa che è nato proprio per essere libero di agire senza vincoli di sorta. Già ora, peraltro, le cripto-valute hanno subìto una metamorfosi rispetto alle caratteristiche originali, trasformandosi in un ibrido tra una moneta e un asset di investimento. E con la crescente esposizione mediatica, l'ex fenomeno di nicchia può diventare per la massa dei risparmiatori una sorta di nuovo Eldorado non privo di pericoli.

Del resto, se si vuole oggi mettere bitcoin in portafoglio sono poche le alternative rispetto al trading o alle piattaforme dedicate all'acquisto. C'è, in prima battuta, un problema di scarsità del bene: il protocollo dei bitcoin prevede l'emissione di un numero preciso di monete (poco più di 21 milioni); ogni 4 anni, inoltre, si tira il freno della produzione. Insomma: più valute virtuali vengono trovate, e sempre meno sono quelle reperibili. Se non si vuole acquistarle, bisogna scavare. Come? I miners, i minatori, vengono premiati con bitcoin per aver messo il proprio computer a disposizione della cosiddetta blockchain, una sorta di registro che tiene conto di tutte le transazioni avvenute fin dall'avvio del sistema. Ma se fino a qualche anno fa per diventare un miner bastava un buon pc, oggi c'è bisogno di una Ferrari al silicio: processore e un alimentatore su misura, almeno quattro schede grafiche (meglio sei), e dunque una scocca speciale necessaria anche per tenere sotto controllo le alte temperature. Insomma, se non si punta sulle monete alternative, come Litecoin o Dogecoin, serve una macchina da migliaia di euro. L'esercizio prolungato (il pc va tenuto acceso 24 ore su 24) e lo stress prolungato cui sono sottoposti i suoi componenti portano a una precoce usura. Con guasti da mettere in conto.

Competere con miner professionisti è poi un'impresa: il gap tecnologico fra un privato e un grande gruppo è grande e le transazioni poche, appena tre in un secondo. Il rischio? Restare con un ologramma di moneta in mano.

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