La capitale degli yacht in crisi Solo i super-ricchi stranieri salvano il posto ai nostri operai

A Viareggio dopo anni di difficoltà e di caccia alle streghe fiscale la ripresa è arrivata grazie ai compratori cinesi, arabi e russi: con i loro soldi i cantieri delle barche di lusso sono riusciti ad andare avanti

La capitale degli yacht in crisi Solo i super-ricchi stranieri salvano il posto ai nostri operai

Il settore nautico è alla deriva. Negli ultimi anni si è registrato un crollo degli ordini di barche, da quelle di medie dimensioni ai maxi-yacht. A farne le spese soprattutto le medio-piccole realtà produttive italiane in quella che è considerata la capitale della barca di lusso: Viareggio. Un'industria stremata da otto anni di commesse zero, preventivi ridotti al prezzo di costo (pur di vendere e far fronte agli impegni), cassa integrazione per quelle maestranze che erano il vanto della nostra cantieristica, fallimenti. L'unica ancora di salvezza è rimasto il lusso che si possono permettere miliardari arabi, cinesi o russi.

Il sistema Viareggio produce oltre il 50 per cento del totale nazionale. Basti pensare che nella classifica mondiale dei top builder , nella prima quindicina di imprese a livello mondiale per numero di ordini, cinque imprese hanno la sede progettuale e operativa proprio a Viareggio. L'attività marinara nella Perla del Tirreno nasce nel Seicento, mentre l'arte della costruzione navale si svilupperà molto più tardi, quando Maria Luisa di Borbone, duchessa di Lucca, il 2 ottobre 1819, decretò la costruzione della prima darsena, l'attuale darsena Lucca.

I CLIENTI VIP

Passando oggi in mezzo a quel pezzo di storia marinara della città del carnevale saltano all'occhio i mega capannoni dove si costruiscono gli yacht più belli e tecnologici del mondo a non più di poche centinaia di metri uno dall'altro. Barche impacchettate con nylon bianchi adagiate sulle banchine pronte per essere consegnate. Sono 2.815 le aziende, grandi e piccole, che operano nella nautica sulla costa toscana e 1.067 nella sola provincia di Lucca dove esistono 27 cantieri di cui 25 solo nel comune di Viareggio. Il numero dei dipendenti (6.380), copre il 43% degli addetti dell'intera costa. Nel 2012 proprio qui è stata varata dalla Viareggio Superyachts la maestosa Stella Maris, un colosso da 72 metri con tanto di ponte per l'atterraggio dell'elicottero, ordinato da un immobiliarista portoghese che ha speso una cinquantina di milioni di euro per averla. Dalla Benetti di Viareggio del gruppo Azimut Benetti è uscito lo yacht del presidente indonesiano dell'Inter Erick Thohir (così come per il suo predecessore Massimo Moratti e per mister Roberto Mancini), magnate nel settore dell' entertainment , a capo di un impero fatto di testate giornalistiche, tv e appunto società sportive. Sempre targate Azimut Benetti le barche degli ex piloti di Formula Uno Heinz Harald Frentzen e Juan Pablo Montoya.

La nautica made in Viareggio continua ad essere, dunque, punto di riferimento per il mercato italiano anche in un periodo di crisi. Una storia che parte dal 2008: l'anno d'oro. I cantieri di Viareggio viaggiavano a 916 commesse sopra i 24 metri a livello mondiale (18 per cento in più rispetto al 2007) di cui 427 (il 23 per cento in più) dall'Italia. Poi l'abisso. I 523 ordini ai cantieri italiani del 2009, rovinano a 272 nel 2013. Secondo Ucina, la Confindustria nautica, in soli cinque anni (nel periodo 2008-2013) il comparto perse quasi il 60 per cento. La produzione ancora peggio: quasi il 90 per cento in meno, con i piccoli cantieri specializzati nel mercato interno sull'orlo del baratro.

LA CRISI PROFONDA

Tanto per farsi un'idea. Nel 2014 gli ordini di yacht di lusso in tutto il mondo erano 692, il 39 per cento dei quali destinati ad imprese italiane. Ma in cinque anni le nostre aziende persero il 14 per cento delle commesse, mentre il calo globale fu solo del 5 per cento. E così il Pil della nautica, che nel 2007 era del 3,6 per cento, cinque anni più tardi, nel 2012, era all'1,3 per cento. Oggi è sotto l'1. Nel 2013 il settore contava circa 19mila addetti diretti (che superavano le 90mila unità se si includeva l'indotto): 46 per cento in meno rispetto al 2008. Il 2012 è stato l'anno peggiore per la nautica con un fatturato globale stimato da Ucina tra 2,5 e 2,8 miliardi, in calo rispetto al 2008 tra il 57 e il 60 per cento. Considerando la sola cantieristica, che conta circa 150 aziende con 13mila addetti diretti, il valore del fatturato 2012 è stato tra 1,6 e 2 miliardi; nel 2008 era pari a 3,8 miliardi e gli addetti erano 20mila.

Oggi ci sono timidi segnali di ripresa. Secondo ShowBoat International , che stila la classifica mondiale dei produttori di superyacht, la richiesta di barche da 61 a 76 metri è cresciuta dell'8%, mentre le commesse di quelle oltre i 76 metri sono aumentate del 28%. Ma sicuramente non grazie all'Italia. Solo la clientela estera, soprattutto i ricchi magnati russi, i giovani imprenditori cinesi e naturalmente gli straricchi emiri arabi, salva il mercato del lusso. Meno del 2 per cento degli yacht nel Mediterraneo ha proprietari italiani. Poco significativa la crescita della produzione di yacht dai 24 ai 30 metri (+4,5%), i cui potenziali clienti infatti sono quelli più in sofferenza.

Nonostante questa situazione gli italiani sono ancora in cima all'elenco dei maggiori produttori delle barche di lusso. La quota di produzione sull'estero, nel 2014, è stata dell'85 per cento, mentre quella nazionale si è fermata al 15. Nel 2011 i dati erano, rispettivamente, 79 e 21 per cento e, nel 2008, 53 per l'export e 47 per la produzione interna. Insomma, per tenere fuori la testa dalle acque profonde i produttori sono andati a fare fatturato dove c'è ancora domanda. Ad esempio negli Usa e, in generale, nelle Americhe, dove si calcolano il 50-55 per cento dei ricavi. Poi in Russia, in Medio Oriente e in Cina. In area europea, invece, reggono solo i Paesi scandinavi e la Turchia.

Tasse, pratiche doganali infinite, aumento del carburante e degli ormeggi: armatori e viaggiatori abbandonano così le nostre acque per cercare i più accoglienti porti francesi, spagnoli, greci, croati e sloveni. Nel 2012 il governo Monti introdusse la tassa di possesso sulle imbarcazioni da diporto. L'inizio della fine. L'obiettivo era quello di riportare i conti in ordine. I possessori di barche furono individuati come quelli da sacrificare: venne fissata una supertassa di stazionamento nei porti. La domanda di ormeggi annuali calò del 26 per cento e i transiti del 34, complici anche i blitz della Finanza sulle banchine delle marine. Assurdi controlli fiscali su arabi, cinesi o russi, che peraltro non pagano le tasse nel nostro Paese. È noto che l'Italia non è un Paese per ricchi. Il lusso viene visto come qualcosa di cui vergognarsi o da cui nascondersi. Gli yacht sono subito collegati all'evasione fiscale o ad operazioni illecite. Si guarda a questa economia e a questo turismo come a qualcosa di sporco. Uno dei paradossi della politica è proprio quello di colpire un settore leader nella produzione delle grandi imbarcazioni: nel 2014 i grandi yacht hanno toccato più di 6.300 volte i porti italiani, ai tempi d'oro si arrivava a 8.500. La presenza dei ricchi genera ricchezza per tutti.

SALVARE L'OCCUPAZIONE

In un anno una barca con 12 ospiti spende dai 2,35 milioni di euro in media per la categoria più piccola, fino ai 6 milioni e 750mila per quella più grande. E il noleggio di una grande imbarcazione può arrivare fino a 800mila euro alla settimana. Una barca dai 30 ai 60 metri ha 15 uomini di equipaggio ed è capace di distribuire denaro a 75 famiglie fra manutenzione, elettricisti, tecnici, fornitori di bordo, negozianti.

Se si sale nella fascia fra i 60 e gli 80 metri, l'equipaggio è di 25 uomini e i vantaggi economici si allargano a 140 persone. Oltre gli 80 metri, si tratta di un lavoro fisso per 50 membri dell'equipaggio e un reddito per 250 famiglie. Ma si sa, l'Italia non è più un Paese per ricchi.

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