Il cda Ilva lascia, tremano in 40mila

Si sono dimessi il presidente Ferrante, l'ad Bondi e il consigliere De Iure. Assemblea il 5 giugno. Allarme occupazione

Il cda Ilva lascia, tremano in 40mila

Taranto - L'ultima scossa del terremoto che sta facendo traballare quello che un tempo era il gigante dell'acciaio questa volta non arriva dal Palazzo di giustizia di Taranto, ma dalla stanza dei bottoni dell'azienda: il consiglio di amministrazione dell'Ilva ha deciso infatti di dimettersi in blocco, una strada imboccata due giorni dopo il sequestro record disposto dal gip di Taranto.
E così, il destino del più grande stabilimento siderurgico d'Europa si fa ancora più incerto e rimane in bilico la sorte dei dipendenti, inevitabilmente legata a doppio filo al futuro della fabbrica: in ballo ci sono 24mila posti di lavoro nelle varie sedi, oltre ai 40mila dell'indotto. Uno scenario tutt'altro che rassicurante. Al punto che il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, chiede «una forte assunzione di responsabilità verso il Paese» e annuncia un primo incontro già nelle prossime ore tra istituzioni e management.
Le dimissioni sono state annunciate al termine di una riunione nel quartier generale milanese dell'Ilva. E la notizia è rimbalzata subito in tutta Italia innescando tensioni e timori.

«Vista la gravità della situazione - si legge in una nota - e incidendo il provvedimento di sequestro anche sulla partecipazione di controllo di Ilva detenuta detenuta da Riva Fire, i consiglieri Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure hanno presentato le dimissioni dalle rispettive cariche con effetto la data dell'assemblea dei soci». Il giorno stabilito è il 5 giugno. Nel comunicato vengono ripercorsi gli ultimi sviluppi delle indagini di Taranto, e in particolare il sequestro da 8,1 miliardi disposto dal gip Patrizia Todisco. «L'ordinanza - è precisato nella nota - colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di Taranto. Per tali motivi - si sottolinea - il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all'attività industriale e per questo tutelati dalla legge n. 231 del 2012, dichiarata legittima dalla Corte costituzionale». Il cda ha comunque deciso di proseguire nella battaglia giudiziaria. E ha dato mandato ailegali di impugnare il sequestro nella «sedi competenti».

Nel frattempo a Taranto, la città che per decenni ha legato il proprio futuro all'acciaio, cresce la preoccupazione. Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, chiede al governo di assumere «direttamente la gestione dello stabilimento e di tutti gli altri siti del gruppo siderurgico», mentre il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, lancia un appello al premier Enrico Letta affinché convochi già domani un incontro «di tutti i protagonisti sociali e istituzionali della vertenza».

Un intervento urgente dell'esecutivo viene invocato anche dall'ex ministro degli Affari regionali Raffaele Fitto (Pdl) che sottolinea il rischio crollo di «tutto il sistema dell'acciaio del nostro Paese a cui l'Ilva contribuisce annualmente con 10 milioni di tonnellate pari a circa il 40% della produzione nazionale».

Duro l'intervento di Antonio Gozzi (Federacciai): «Il provvedimento assunto dalla magistratura di Taranto non può che andare nella direzione di voler costringere alla chiusura la nostra più importante impresa siderurgica, che ora si trova oggettivamente, privata delle necessarie risorse finanziarie e della governance, nelle condizioni di dover interrompere il suo funzionamento».

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