Un nuovo terremoto potrebbe abbattersi presto sulle centrali a carbone di mezza Italia. Dopo il caso di Tirreno Power a Vado Ligure, diverse Procure si stanno muovendo per verificare le condizioni ambientali delle centrali in cui hanno giurisdizione con il rischio di imminenti inchieste su almeno una decina di impianti, da Rovigo a Brindisi. Dopo la sospensione dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) di giugno a Savona, l'impianto di Tirreno Power - da mesi sotto indagine - ha ricevuto dalla Conferenza dei servizi una nuova Aia molto più restrittiva per il ritorno in esercizio. A questo punto l'azienda, ferma da mesi, dovrà capire se sarà in grado di soddisfare tutte le prescrizioni e se la Procura concederà un dissequestro, almeno parziale, per permettere gli interventi di adeguamento: la riduzione dei limiti di emissione e una produzione solo a gas, non a olio combustibile. Una serie di diktat ritenuti impraticabili dall'azienda (50% Gdf e - indirettamente - 39% Sorgenia con il 5,5% a testa tra Iren e Hera) che dovrà decidere se adeguarsi, realizzando gli interventi richiesti e poi riaprire, oppure no. Per Tirreno Power, in ogni caso, le difficoltà maggiori sono sui tempi concessi. A esempio, nel caso dell'accensione a gas dei gruppi di impianti che richiederebbe da 16 a 24 mesi di lavori, un ulteriore periodo di fermo dei siti giudicato insostenibile.
«Sono condizioni vessatorie per la centrale di Vado Ligure - afferma Maurizio Perozzi (Rsu di Tirreno Power) - così è impossibile ripartire. Ora si apre una fase difficilissima per i lavoratori». Un problema, quello occupazionale, che rischia di allargarsi. «Se gli stessi parametri fossero applicati anche agli altri impianti a carbone - spiega un analista - in Italia quasi tutti dovrebbero essere chiusi a eccezione di quello di Civitavecchia (Torevaldaliga), recente e tecnologicamente avanzato. Non si esclude che ci possano essere dei problemi d'inquinamento, ma il governo dovrebbe trovare soluzioni di sistema che tutelino il settore energetico e non facciano scappare gli investitori». Un rischio elevatissimo se si considera che è stato riconosciuto che a Savona nessun limite di legge è stato superato dall'azienda, ma che vige solo un «principio di precauzione».
Non per altro, nei giorni scorsi, il Secolo XIX ha dato notizia che i pm di Gorizia e Brindisi, dove ci sono altre centrali a carbone, si sono recati a Savona per confrontarsi con i magistrati del caso di Vado Ligure.
Nel mirino sarebbero dunque la centrale di Monfalcone (Gorizia) di A2a (che ha sempre ribadito di «operare secondo i limiti di legge e secondo prescrizioni») e quella di Brindisi Sud (Enel). Gli impianti a carbone coinvolti potrebbero essere comunque almeno una dozzina: 7 di Enel, 3 per A2a-Edipower e uno di E.On. A premere sulle Procure sono politici, lobby verdi e i cittadini stessi che sull'onda del caso di Savona sono spaventati da possibili rischi sulla salute.
E mentre il settore cerca risposte, un possibile spiraglio potrebbe aprirsi giovedì quando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, incontrerà i sindacati. Il rischio resta comunque alto per un settore già in crisi come quello dell'energia elettrica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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