Mentre ieri il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, presentava a Milano il «piano industria 4.0», Confindustria osservava a distanza, impegnata in serata, a Roma, nel comitato di presidenza. Dopo le divisive elezioni della primavera e passata l'estate, per il neo presidente Vincenzo Boccia il lavoro vero inizia ora. Così tra ieri e oggi, quando è in agenda il consiglio generale (il neo parlamentino dell'associazione), si parla del tema che nei prossimi mesi diverrà sempre più caldo: quello del futuro del Sole 24 Ore, l'impresa editoriale controllata dagli industriali. Che qualcuno degli iniziati definisce la «prima patata bollente di Boccia» dopo la vittoria sul filo di lana contro Alberto Vacchi, il candidato sostenuto dalla grande impresa del Nord.
Il punto è che il nuovo ad del gruppo, Gabriele Del Torchio, sta per presentare la relazione semestrale che a luglio, appena insediato, aveva chiesto di rinviare al 30 settembre. Secondo indiscrezioni ci sarà un rosso nell'ordine dei 30 milioni che, in proiezione di fine anno, potrebbero salire fino a 40. Il che porterebbe vicino a quota 300 milioni le perdite nette accumulate dal gruppo dal 2009. Ma, quel che è peggio, anche ad aver consumato, insieme con i 200 milioni raccolti con la quotazione in Borsa del 2007, quasi l'intero patrimonio netto, ridotto dai 360 milioni del 2008 agli 86 dell'anno scorso e quindi ai circa 50 residui a giugno. Una situazione che richiede ciò che si è sempre evitato di fare: l'aumento di capitale. Ebbene: può Confindustria permettersi una ricapitalizzazione di diverse decine di milioni? C'è, tra gli associati, il consenso necessario per una tale operazione? O serve l'intervento di nuovi azionisti che si porterebbero via il Sole?
Il terreno di scontro interno diventerà proprio questo: da una parte Boccia, editore per statuto del Sole, ritiene che l'associazione possa far fronte agli impegni perché una «privatizzazione» del Sole la indebolirebbe, portandole via l'unico asset che la rende realmente diversa dalle altre lobby nazionali. E certo non freme dalla voglia di passare alla storia per il presidente che ha ceduto il Sole. Per questo Boccia avrebbe un piano, condiviso con la componente più di «sistema» dell'associazione: un delisting delle azioni dalla Borsa e l'emissione di un prestito obbligazionario assistito da un pool di banche. Il tutto appoggiato da un piano industriale credibile, a garanzia dell'operazione.
C'è però una seconda linea di pensiero. Ed è quella dell'ex presidente Giorgio Squinzi che, prima della fine del mandato, essendo in scadenza anche il cda del Sole, ha nominato se stesso alla presidenza del gruppo. Ebbene, Squinzi sarebbe pronto a ricapitalizzare il Sole. Avendo tra possibili compagni anche altri nomi del Nord, quali Diana Bracco, e pensando di coinvolgere altri come l'ex socio di Rcs, Giampiero Pesenti, e lo sconfitto scalatore della Rizzoli, Andrea Bonomi, entrambi in buoni rapporti con Del Torchio, manager scelto da Squinzi. E in una disputa che sta diventando il «tempo supplementare» delle elezioni di primavera, sembra che in vista di una possibile «privatizzazione» si possa muovere in alternativa a Squinzi anche un fronte romano. Che avrebbe come riferimento Francesco Gaetano Caltagirone e Luigi Abete.
Di certo nella dialettica, appena iniziata, entreranno pesantemente in gioco le eredità del passato, non sempre lineari, al punto che i conti del Sole sono finiti sotto il faro della Consob, che attende risposte dal cda a una serie di quesiti sulla gestione degli ex presidente e ad Benito Benedini
e Donatella Treu, che hanno guidato il gruppo nell'era Squinzi. Un ruolo chiave lo gioca anche Roberto Napoletano, direttore scelto da Squinzi, ma attuale difensore delle linea dell'autonomia del Sole predicata da Boccia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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