Il 7 e l'8 giugno all'auditorium Paganini di Parma il patron dell'Acri, Giuseppe Guzzetti, aprirà e chiuderà il congresso annuale dell'associazione delle Fondazioni. Per l'ultima volta.
Perché nella primavera del 2019, dopo ventidue anni di reggenza, l'avvocato di Turate (Como) lascerà il timone insieme a quello della Cariplo. Il tema del congresso di giugno, «Identità e cambiamento», non è dunque casuale. Per un quarto di secolo le fondazioni hanno fatto pesare le loro azioni in banca traducendole in influenze e poltrone. Il gioco ha funzionato finché le banche hanno continuato a macinare utili, e dunque dividendi per il salotto dei grandi soci dove le fondazioni avevano un posto in prima fila. Poi è arrivata la crisi, i profitti sono crollati, alcuni di quegli istituti (come Mps) hanno cominciato a traballare e sono spuntati nel capitale i fondi stranieri con i portafogli gonfi di liquidità. E gli enti si sono dovuti adattare. Guzzetti ha sistemato gli intrecci velenosi con le banche e ha concentrato l'attività sulla riorganizzazione del terzo settore da cui ora passa e passerà il «controllo» del territorio. Infine ha avviato il cantiere per la successione: in molti scommettono che il testimone dell'Acri passerà nelle mani del presidente della fondazione Cassa di Risparmio di Spezia Matteo Melley, classe 1960, avvocato, già scelto come uno dei vice dell'associazione e presidente di Cdp immobiliare.
Un altro uomo forte delle fondazioni bancarie, ossia Fabrizio Palenzona, già vicepresidente di Unicredit, si è sfilato dalla partita: «Io sto bene cosi, non mi sono candidato nè all'Acri, nè ad altre società». Sembra, intanto, strategica la scelta varata da Guzzetti, prima di lasciare, di allargare la squadra dei vicepresidenti di cui fanno già parte oltre a Melley, Francesco Profumo che presiede la Compagnia di San Paolo, il presidente della Cassa di Risparmio di Bolzano, Gerhard Brandstätter, e l'avvocato Umberto Tombari, presidente della Fondazione Cr Firenze.
Prima di lasciare, però, Guzzetti vuole sistemare le nomine al vertice di Cassa Depositi e Prestiti il cui rinnovo verrà votato all'assemblea di fine giugno. La nomina del presidente spetta all'azionista di minoranza, ovvero alle Fondazioni che possiedono il 16% di Cdp dietro al Tesoro. L'attuale numero uno, Claudio Costamagna, potrebbe rimanere: «Perché dobbiamo cambiare?», ha detto ieri Guzzetti. Precisando però che la scelta dipende da numerose variabili, La prima, riguarda lo stesso Costamagna che «deve dire se ci sono le condizioni» per restare. La seconda, chi farà il ministro dell'Economia del nuovo governo - «bisognerà vedere chi arriverà, ma saremo collaborativi come sempre» - cui spetta la scelta dell'ad della Cassa. In ogni caso, ha sottolineato ieri Guzzetti, «qui abbiamo Melley che darà un contributo importante al nuovo cda della Cdp». Insomma, a prescindere da chi occuperà le poltrone, ci penserà «Matteo» a gestire le prossime sfide. A cominciare dalla fusioni tra fondazioni. Alcune di loro sono diventate troppo piccole per dare un sostegno concreto in termini di erogazioni al territorio. Senza dimenticare gli enti rimasti «orfani» delle banche finite in risoluzione come quelle delle Marche o la Fondazione Cassa Ferrara. Meglio procedere con il consolidamento su cui sarebbe già al lavoro l'altro vice dell'Acri, Tombari.
Perché, ha
detto l'avvocato Guzzetti, «se non hai una buona orchestra puoi essere il miglior solista in questo mondo ma l'orchestra stecca. In questi anni abbiamo lavorato per fare in modo che l'orchestra non sia buona, ma ottima».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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