Giappone, banca centrale dà una lezione all'Europa

La principale banca di Tokyo ha la funzione di “prestatrice di ultima istanza”, ovvero ha l’obbligo di essere garante del debito pubblico dello Stato

Giappone, banca centrale dà una lezione all'Europa

Una Banca Centrale che fa il suo mestiere. Così può essere definito il principale isituto di credito nipponico di proprietà pubblica. Perché? La risposta starebbe proprio nella natura pubblica dell’istituto e nel suo legame imprescindibile con il Tesoro giapponese. La principale banca di Tokyo ha infatti la funzione di “prestatrice di ultima istanza”, ovvero ha l’obbligo di essere garante del debito pubblico dello Stato. Dunque quando quest’ultimo emette i titoli, quelli che noi conosciamo come Bot, la Banca nipponica si riserva la facoltà di acquistarne in maniera illimitata, finanziando così la spesa pubblica dello Stato. In pratica è come se il Giappone si indebitasse con se stesso. Si aggiunga inoltre che la maggior parte dei titoli di Stato nipponici è detenuta da investitori domestici, fattore che ostacolo la volatilità dei tassi d’interesse e favorisce una sicurezza delle aspettative sul futuro economico del Paese.

È per questo motivo che il Giappone riesce a sopportare un debito pubblico che potrebbe arrivare al 300% del PIL nel 2030, queste sono le stime fatte dal Fondo Monetario Internazionale. Quello che viene considerato dai commentatori come “enorme debito pubblico italiano” arriva al 132,6% del PIL, nemmeno la metà di quello giapponese. Eppure lo Stato del Sol Levante viaggia oggi al ritmo di terza economia del mondo, con un prodotto interno lordo di 4,92 migliaia di miliardi di dollari e un tasso di disoccupazione al 3%. Il tutto mantenuto in questi ultimi quindici anni di “stagnazione”, come riportato sia dal Wall Street Journal che dalla Reuters. Secondo entrambi i portali, infatti, solo nello scorso novembre, a seguito del benefico effetto sui mercati dell’elezione di Donald Trump, l’economia giapponese avrebbe incominciato una corsa al rialzo. Sarebbe la prima volta da quando il Premier Shinzo Abe ha lanciato nel 2013 la sua “Abenomics”, ovvero una politica economica volta all’abbassamento delle tasse sulle imprese, ad una progressiva liberalizzazione interna e a un aumento dell’export, con l’obiettivo appunto di diminuire la forbice del debito. Una strategia che ha ricevuto il plauso del Fondo Monetario Internazionale.

Tuttavia è stata proprio l’eccessiva dipendenza dalla domanda estera a rafforzare la stagnazione economica del Giappone, in un momento in cui i mercati asiatici, quali Cina e India, puntavano proprio sui prodotti interni piuttosto che sull’importazione. Come riportato quest’oggi dalla Reuters sembra che il trend negativo della domanda estera sia scomparso e che il Giappone possa ora beneficiare anche di un maggiore consumo interno privato. Il prossimo 19 dicembre ci sarà poi un incontro tra i vertici della Banca Centrale giapponese per stabilire un’eventuale riduzione della quantità di moneta emessa per acquistare i titoli di Stato, considerati i segnali positivi dell’economia. Sembra dunque che questa Banca abbia un ruolo cruciale e dinamico per la sorte economica del Giappone. Per comprenderne meglio il ruolo da protagonista è utile fare un parallelismo con la Banca Centrale europea e con la Fed americana. La Bce ha infatti intrapreso la strada di espansione monetaria solo nel marzo 2015, quando Mario Draghi lanciò il programma chiamato Quantitative Easing, che ad oggi prevede l’acquisto di titoli di Stato europei per un totale di 60 miliardi mensili. Se continuato nel 2017, il programma europeo porterà all’acquisto di titoli per un totale di 1.440 miliardi di euro in due anni. Un tempo irrisorio se confrontato con i quindici anni di espansione economica attuata dalla Banca giapponese.

Questa cifra diventa poi microscopica se messa a fianco dei 10 trilioni di dollari emessi dalla Fed nel 2008 per coprire i buchi bancari americani e far ripartire l’economia. Nello stesso periodo la Bce non aveva nemmeno in cantiere il Quantitative Easing.
La differenza sta tutta nella natura del mandato delle rispettive banche, dove la Banca Centrale giapponese, così come la Fed, danno precedenza all’emissione monetaria in funzione di uno stimolo economico del Paese, lasciando da parte il problema dell’inflazione.

La Bce, invece, che subisce ancora “lo spettro di Weimar”, concentra i suoi sforzi nel contenimento dell’inflazione più che sull’immissione di denaro. Questo ha avuto e avrà ricadute negative sui Paesi con alto debito pubblico e alti tassi d’interesse, ovvero quelli che si affacciano sul Mediterraneo, come Italia, Spagna e Grecia.

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