Sembra proprio in alto mare il futuro dell'Alitalia. Dopo un lungo silenzio, il tema è tornato d'attualità con alcune dichiarazioni del ministro per lo Sviluppo economico, Luigi Di Maio, titolare del dossier e autorità di riferimento per i commissari. Di Maio ha smentito che ci siano piani per accorpare Alitalia e Fs: l'ha respinta come una «fake news». Ha dichiarato che «il governo sta analizzando tutte le informazioni economiche perché prima di tutto vogliamo individuare e chiedere di punire i responsabili della situazione attuale. Faremo l'azione di responsabilità. Poi si valuterà la strada da percorrere, sulla base anche di una spending review seria all'interno dell'azienda». Poi, un impegno: «Ci sono tanti scenari di vendita, ma il tema è non svenderla», e ha smentito «contatti diretti con Lufthansa e EasyJet», i due principali candidati all'acquisto. Ieri i commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari - hanno partecipato a un vertice al ministero dei Trasporti organizzato dal sottosegretario Armando Siri (Lega). Primo incontro dall'insediamento del governo.
Che cosa stia bollendo in pentola non si sa. La vicenda Alitalia in questa fase è molto confusa e non si vede una via maestra. Ci sono, certo, dei punti fermi: il 31 ottobre deve essere scelto l'interlocutore per la trattativa in esclusiva; entro il 15 dicembre devono essere restituiti i 900 milioni di prestito ponte, più un centinaio di interessi: come sarà possibile, con una società in perdita, non si sa. Infine le autorità europee hanno sul tavolo le carte per decidere se il prestito sia configurabile come aiuto di Stato. Poichè le previsioni sono per una decisione negativa, cioè che lo sia, la speranza è che tale pronunciamento arrivi almeno dopo la cessione. Ieri intanto L'Associazione nazionale piloti si è detta fortemente preoccupata per la situazione finanziaria: «La liquidità potrebbe terminare entro il prossimo inverno».
Al di là di smentite e depistaggi, si respira un'aria di nazionalizzazione. Come, non è chiaro, anche perché l'opinione pubblica non sarà acquiescente. Ma la convinzione che Alitalia faccia parte del «patrimonio indisponibile» di un Paese attrattivo di turismo e potenza industriale, si sta facendo strada. Venderla tout court a Lufthansa interessata al 100% e poi a decidere in proprio significherebbe assumersi costi sociali, perdere professionalità aeronautica, veder dirottare altrove le attuali forniture italiane, dipendere da un network disegnato in Germania e incardinato su altri hub. Riportare Alitalia nella sfera pubblica appare però come un'impresa pressoché impraticabile: non solo i capitali necessari sarebbero grandi, ma occorrerebbe soprattutto un progetto credibile e vincente. Non facile in tempi di concorrenza molto dura. Negli ultimi 20 anni Alitalia le ha provate tutte: dal punto di partenza: dall'uomo di finanza (Francesco Mengozzi) al ristrutturatore duro (Giancarlo Cimoli), dalla crème dell'imprenditoria italiana (Roberto Colaninno e i Capitani coraggiosi), all'alleanza con Etihad, che sembrava un gioiello degli Emirati arabi. Manca, appunto, solo il ritorno al pubblico, che è la grande area di provenienza della compagnia.
Alitalia continua a perdere denaro, circa 1,5 milioni al giorno. In cassa c'è ancora buona parte del prestito ponte, ma da un lato sono stati rallentati i pagamenti ai fornitori, dall'altro la stagionalità peggiore si avvicina.
I commissari continuano a puntare sullo sviluppo commerciale (è in corso una missione in Sud America) ma non è loro compito ristrutturare. E ieri la compagnia ha dovuto smentire che i possessori di punti del programma millemiglia rischino di perderli: nel cambio della società che le gestisce saranno tutte portate a nuovo.
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