I disoccupati allarmano Wall Street

Il passo lento dell'economia amplifica i timori di una bolla finanziaria: il Dow Jones batte in ritirata. In marzo creati appena 88mila posti contro i duecentomila attesi

Se c'è un indicatore macroeconomico capace di far rizzare le antenne della business community Usa, è quello sulla disoccupazione. Bene: in marzo il tasso dei senza lavoro è sceso al 7,6%, ma i nuovi posti creati sono stati appena 88mila contro i 200mila attesi. Wall Street non l'ha presa bene (-0,6% a un'ora dalla chiusura). E per due motivi. Il primo: il mercato del lavoro si conferma l'anello debole della ripresa a stelle e strisce.
Una jobless recovery, peraltro, dal passo claudicante come testimonia la brutale sforbiciata della Fed alle stime di crescita 2013, riviste al 2,3-2,8% dal 3-3,5% della precedente previsione.
Il secondo: la troppa gente a spasso è in stridente contrasto con il moto perpetuo (a salire) degli indici di Borsa.
Lo scollamento con l'economia reale è così netto da amplificare i timori che Wall Street stia correndo troppo. Insomma: c'è puzza di bolla, l'ennesima. Destinata, prima o poi, a scoppiare. Il Dow Jones è su picchi mai visti, oltre 300 punti sopra il record dell'ottobre 2007, periodo pre-crisi subprime. Ciò che inquieta, è la profonda differenza rispetto ad allora. In poco più di cinque anni il debito federale è schizzato da 9mila a 16.500 miliardi di dollari, una cifra monstre da cui è scaturita la pantomima grottesca sul tetto del debito, che diventa stratosferica, pari a quattro volte il Pil, se si aggiungono i debiti delle famiglie. E se tanti budget domestici sono sotto stress, spesso la causa non è riconducibile allo shopping compulsivo, ma proprio a un'occupazione che non c'è. Oggi 13 milioni di americani sono senza un posto di lavoro contro i 6,7 del 2007, e su questa piaga sociale Obama ha rischiato di giocarsi il secondo mandato alla Casa Bianca. L'impoverimento generale fa infatti proliferare i cosiddetti food stamps, i buoni pasto della sopravvivenza consumati da 47 milioni di persone (nel 2007 erano 27 milioni), il 15% della popolazione, spesso con problemi di obesità legati proprio all'acquisto di cibi e bevande iperproteici a basso costo.
Il tutto avviene nonostante la Federal Reserve, ormai da anni, stia massaggiando il corpo dell'America nel tentativo di rianimarlo. I tassi d'interesse, che nel 2007 erano ancora al 5,25%, già dal dicembre 2008 erano stati schiacciati da Ben Bernanke tra lo 0 e lo 0,25%. Denaro a buon mercato che non sembra aver fatto da volano all'economia reale. L'impressione, al contrario, è che tutte le manovre di stimolo varate finora (dai 7.700 miliardi erogati per salvare le banche da fine 2008 a marzo 2009, alle più recenti manovre di quantitative easing) siano solo servite a rimettere in moto la macchina della finanza. E, dunque, abbiano contribuito a generare l'ultima bolla (e l'inflazione).
Ma l'apporto isolato della finanza rischia di far saltare il banco, soprattutto se altre aree non contribuiranno a ridare slancio all'economia Usa. Non solo.

Con la sua strategia, la Fed sta spingendo la politica a non farsi troppo carico del nodo del debito. Come? Nei giorni scorsi, Bernanke ha versato al budget federale quasi 90 miliardi di profitti derivanti dall'acquisto di treasuries. Interessi pagati dal Tesoro Usa. Una partita di giro potenzialmente mortale.

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