L'economista: "La crisi del petrolio? Parallelismi col 2008"

Nouriel Roubini che pronosticò la crisi di otto anni fa avverte: "Rischiamo un nuovo crollo"

L'economista: "La crisi del petrolio? Parallelismi col 2008"

Dopo otto anni tutti ne sono convinti: la crisi del 2008 è finita e l'economia si sta lentamente riprendendo. Ma al di là dei proclami trionfalistici è davvero così? A gettare un'ombra sui mercati internazionali è ora Nouriel Roubini, lo stesso che otto anni fa pronosticò - a ragione - proprio quella devastante crisi.

Oggi, in un'intervista a Repubblica, il guru della New York University vede degli "inquietanti parallelismi" con la situazione del 2008. Punto debole del 2016 è ora il petrolio che rischia di far ripiombare il mondo nel baratro. "Non si possono non rilevare inquietanti parallelismi che ci danno una fortissima preoccupazione", ha detto Roubini, "Bisogna capire se quello di questi giorni è solo un rovescio dei mercati o l’inizio di un nuovo crollo sistemico. Allora il detonatore furono i mutui subprime, ora potrebbe essere la catena di fallimenti delle società dello shale oil, messe in larga parte fuori mercato dai prezzi del greggio e dalla sovrapproduzione dell’Opec".

Ma rispetto al 2008 ora le banche sono "più capitalizzati in tutto il mondo". "Bisogna allora tener d’occhio il mercato delle obbligazioni Usa, tanto importante quanto debole", avverte l'economista, "È in corso una massiccia svendita di corporate bond legati appunto al settore energetico che rischia di destabilizzare il sistema. È il più grande punto interrogativo del 2016. Nessuno sa quale sia il vero stato di salute reale del comparto, ma il settore energetico è esposto: bisogna vedere se siamo di fronte a una serie di fallimenti individuali o una vera epidemia che avrà effetti sistemici e gravi".

Per questo è importante un accordo tra le banche centrali che scongiuri il peggio: "Non si può restare fermi. Le autorità fiscali e monetarie dei principali Paesi dovrebbero subito assumere un’iniziativa forte e proattiva. Altrimenti il crollo dei mercati, che trascinano l’economia reale, non si ferma. La Fed dovrebbe interrompere i rialzi, la Bce potenziare il quantitative easing e altrettanto la Bank of Japan, la Banca centrale cinese imbracciare con maggior decisione la strada dello stimolo monetario".

Oltre al petrolio, però, bisogna affrontarea anche il problema Cina: "Teniamo presente che la scivolata dei valori azionari d’inizio anno va associata più che a ulteriori cattive notizie sul fronte economico a una serie di fattori tecnici concentrati: la fine del divieto di vendere titoli da parte dei maggiori azionisti (poi ripristinato nell’emergenza), l’introduzione di più severi sistemi di blocco automatico delle contrattazioni in caso di oscillazioni (che spesso interrompe la giornata di un’azione quando è sui valori più bassi), perfino la ripresa delle offerte iniziali di acquisto che aumentano l’offerta di titoli".

In particolare Pechino crescerà almeno un punto in meno rispetto all'anno scorso: "Ci sono grossi problemi di modello di sviluppo, di consumi interni che non riescono a decollare, di export compromesso per la lentezza del resto del mondo", spiega Roubini secondo cui "la Cina è un fattore di volatilità ma da solo non basta a determinare il panico diffuso nel mondo".

La crescita, infatti resta debole in Europa e rallenta in America, "come testimonia lo stillicidio di dati deludenti degli ultimi giorni, dall’attività manifatturiera alle vendite al dettaglio". Senza considerare che sull'Europa pesano l'incubo Brexit e le tensioni nell'area euro.

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