Lucchini, il re dell'acciaio che si fidava solo di Cuccia

Lucchini, il re dell'acciaio che si fidava solo di Cuccia

Nel 2006, in una delle sue ultime apparizioni in pubblico, Luigi Lucchini dichiarò quasi con rassegnazione: «Non capisco più in che mondo si vive. Mi auguro però che industria e politica rimangano divise». Ammetteva, con queste parole, che i tempi erano cambiati ma rinunciava ormai alla sfida del presente. Grande industriale siderurgico, uno dei protagonisti dell'impetuoso sviluppo del Dopoguerra in un settore – l'acciaio – essenziale per la ricostruzione e per l'evoluzione dei consumi, egli ha legato il suo nome alla presidenza della Confindustria, che resse tra il 1984 e il 1988. Fu cavaliere del lavoro, presidente o membro dei consigli di amministrazione di molte grandi società italiane (Comit, Montedison, Generali, Mediobanca, Rcs), ma restò sempre industriale per vocazione, non diventò un finanziare: «Chi detiene un po' di azioni ma continua a lavorare nell'industria, non diventa certo un finanziere. E a Brescia ci sono diversi esempi di ciò». Negli anni d'oro fu un leone, uomo duro, autorevole, e appassionato, capace di tener testa al sindacato pur mantenendo buoni rapporti con i suoi vertici; diceva: «I soldi spesi per far fallire uno sciopero sono i soldi meglio spesi». Si vantava di aver fatto le prime vacanze a cinquant'anni.
Laureato in lingue alla Cattolica di Milano, dopo una breve stagione da insegnante rilevò l'officina del padre fabbro e da qui cominciò una corsa che per decenni gli diede successo e potere crescenti, partecipando anche alle prime privatizzazioni di stabilimenti come Levere e Piombino. Poi, la parabola discendente, che portò il suo gruppo prima alla crisi poi alla cessione, nel 2005, ai russi di Severstal. Nel 2003 intervennero le banche a sostenerlo («ma non eravamo né la Cirio né Parmalat, noi avevamo investito»), poi si sentì abbandonato : «Se ci fosse stata la Mediobanca di un tempo la Lucchini sarebbe ancora dei Lucchini». Molti ricordano che il giorno in cui fu intitolata la «Piazzetta» a Enrico Cuccia, alla cerimonia tra i tanti personaggi presenti Lucchini era l'unico in lacrime. Ma i tempi di Mediobanca e quelli del capitalismo italiano erano già inesorabilmente cambiati.

Al figlio Giuseppe ripeteva sempre una frase piena di umiltà e di amarezza. «Rimanere in sella al cavallo è più difficile che salirci». Oggi alla famiglia appartiene ancora la Lucchini Rs, attiva nella siderurgia al servizio dell'industria ferroviaria.

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