La previdenza integrativa non decolla. È un dato di fatto. Certo, a dieci anni dal decreto legislativo 252/2005 che ha riformato il settore, i dati sono cresciuti. Ma rimane il fatto che, secondo i dati Covip (commissione vigilanza sui fondi pensione), i 130 miliardi di euro circa di risorse accumulate nelle forme pensionistiche complementari rappresentano solo il 3,3% delle attività delle famiglie italiane. Solo il 25,6% della forza lavoro aderisce alla previdenza complementare (in tutto 6,54 milioni di lavoratori) con una decisa prevalenza, per di più, delle fasce più adulte della popolazione. Il quadro emerso dagli ultimi dati Covip mostra, infatti, come solo il 16% della forza lavoro con meno di 35 anni sia iscritto a una forma pensionistica complementare, un tasso che sale al 24% per i lavoratori di età compresa tra 35 e 44 anni e al 31% per quelli tra 45 e 64 anni.
Non solo. Secondo un recente studio di Ipr Marketing, solo il 43% dei partecipanti al sondaggio prende in considerazione il fondo integrativo come una soluzione concreta alla crescente incertezza riguardante welfare pubblico. Incertezza normativa, assenza di un'efficace informazione sulla situazione pensionistica, tasse crescenti (con la legge di Stabilità 2015 l'aliquota sui rendimenti maturati è stata alzata dall'11,5% al 20% salvo eccezioni), riforme contestate (come quella che garantisce la facoltà al lavoratore di chiedere il tfr in busta paga) o fin troppo spesso rimaste solo sulla carta e, soprattutto la mancata consapevolezza di come la previdenza integrativa sia un indispensabile strumento di welfare sociale, peraltro fondamentale nella struttura retributiva futura, e non un mero prodotto finanziario. Sono queste alcune delle cause del mancato successo della finanza integrativa, un flop che potrebbe tradursi in un serio problema sociale.
Per superare lo stallo, Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza (associazione nazionale della previdenza complementare) ha proposto una modifica del meccanismo di adesione ai fondi pensione di categoria. Al di là della percentuale piuttosto bassa di aderenti, sulla crescita della previdenza complementare pesano: l'incremento delle richieste di anticipazioni, la diminuzione degli iscritti ai fondi preesistenti (quelli in funzione prima della riforma del 1993, quando è stata introdotta la previdenza complementare) e la continua contrazione dei fondi negoziali di nuova costituzione (-5% fra il 2008 e il 2014) a vantaggio dei Pip, ovvero dei Piani previdenziali individuali di tipo assicurativo.
Occorrerebbe prevedere, per contratto, la partecipazione del lavoratore al fondo pensione: il cambiamento auspicato sarebbe quindi una sorta di consenso tacito, invece di quello esplicito richiesto dalla regolamentazione attuale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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