Sui Pir, i Piani individuali di risparmio, «ragioneremo, è uno strumento importante e faremo una valutazione anche rispetto alle recenti modifiche», ha annunciato il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri ieri in audizione alla Camera. Una dichiarazione scarna ma che risponde al segnale lanciato nelle ultime settimane dai protagonisti del settore del risparmio.
A cominciare dall'intervista rilasciata al Sole24Ore lo scorso 20 settembre dal presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos: «Bisogna tornare alla versione originale dei Pir, eliminando l'introduzione dei vincoli minimi di investimento sull'Aim e sul venture capital». Il 29 settembre sul Messaggero è poi apparso il monito di Massimo Doris, ad di Banca Mediolanum («Va subito fatto un passo indietro rispetto alle modifiche scattate nel 2019, gli investitori chiedono la garanzia di una normativa stabile») seguito da un appello del direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, apparso su MF il 30 settembre per far tornare i Pir a funzionare «al più presto».
Nel giro di pochi giorni, insomma, a sollecitare il Mef sono stati Corcos, come portavoce istituzionale di Assogestioni ma anche ad di Eurizon Capital (la divisione del risparmio gestito di Intesa Sanpaolo), le banche attraverso l'Abi e Doris come leader di questi strumenti con una quota di mercato in mano a Mediolanum pari al 22 per cento. Il nuovo governo è considerato più conciliante del precedente vista la presenza del Pd che con il governo Renzi aveva introdotto per legge nel 2017 i Piani individuali di risparmio in grado di offrire incentivi fiscali, sotto forma di detassazione delle plusvalenze, ai sottoscrittori che tengono l'investimento per oltre 5 anni. Con la legge di Bilancio del 2019 sono state apportate alcune modifiche per focalizzare ancora di più lo strumento sull'investimento in piccole imprese: il legislatore è intervenuto sui vincoli di composizione dei Pir, stabilendo che almeno il 3,5% del piano debba essere investito in titoli quotati su mercati dele pmi (per esempio il listino Aim) e un altro 3,5% su azioni o fondi di venture capital. Il risultato? La rigidità del vincolo e la sua inattuabilità rispetto alle dimensioni dei portafogli ha bloccato i Pir. Nel secondo trimestre di quest'anno la raccolta netta è stata negativa per 348,3 milioni, rispetto ai -2,2 milioni del primo trimestre. E in un report Equita stima che da qui a fine anno la raccolta netta sul segmento andrà in rosso per 700 milioni.
Il pressing sui Pir coincide anche con una finestra importante: le modifiche introdotte con la legge di Bilancio del 2019 sono soggette a un meccanismo di monitoraggio. Entro nove mesi dall'attuazione dei decreti, il ministero dello Sviluppo economico deve fare una valutazione sull'impatto della nuova normativa sul mercato. Ma ancor prima della fine del monitoraggio, dunque entro novembre, la maggioranza giallorossa potrebbe rimettere mano ai Pir. E i correttivi non possono trovare spazio che nella Manovra.
Gualtieri, sostenuto dal Pd, sembra aver raccolto l'invito dell'industria, ma per gli alleati grillini è difficile dare un colpo di spugna ai vincoli in parte da loro stessi suggeriti nel precedente esecutivo. E c'è chi fa notare che il capo dell'ufficio legislativo del Mise è lo stesso del dicastero allora guidato da Di Maio, Enrico Esposito, amico e compagno di studi del leader CinqueStelle.
Ed è su questo punto, che devono lavorare le diplomazie per modificare la legge senza sconfessare le modifiche. Vedremo cosa succederà. Di certo, Assogestioni è tornata ad essere un interlocutore ascoltato quando il dialogo sui Pir sembrava essersi interrotto definitivamente.
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