"Uscire dall'euro fa paura ai centri di potere italiani"

L'esperto di finanza sul dossier di Mediobanca: "Ma ora serve un supergoverno per far rinascere l'Europa"

"Uscire dall'euro fa paura ai centri di potere italiani"

Solo a sentir parlare di Italexit, ovvero di divorzio dall'euro così come prospettato da uno studio di Mediobanca, gli viene l'orticaria. «Non siamo mica gli inglesi, un popolo forte abituato a lottare per le proprie idee. Noi siamo un popolo che sale sul carro del vincitore e appena può tradisce». Guido Roberto Vitale, una vita spesa nel mondo della finanza, dalla Mediobanca cucciana al lungo soggiorno in Euromobiliare, dal transito in Lazard e Rcs fino alla creazione della Vitale&Co, non alza di mezzo tono la voce. Ma è pungente e va dritto al bersaglio quando tira in ballo l'ingovernabilità tricolore associata alla scarsa produttività e alla fatica nel fare le riforme necessarie.

Dottor Vitale, perché è meglio restare nell'euro?

«La moneta unica è destinata a durare perché l'Europa va verso un rinascimento».

In che modo?

«Mettendo insieme i sei Paesi che hanno fondato l'Europa e gli altri sei che formano il nucleo centrale dell'Europa. Tutti gli altri devono far parte di un'area tipo Nafta che consenta loro di commerciare con l'Ue. L'Italia non può fare la Svizzera in mezzo al Mediterraneo».

Eppure l'Europa sta continuando a dare prove di debolezza

«Sono d'accordo. Ecco perché bisogna ripartire da un'Europa più piccola, più omogenea culturalmente. E per far questo abbiamo bisogno di un unico ministero delle Finanze e un unico esercito. Con un'industria militare comune avremmo un assorbimento di manodopera specializzata straordinario».

È un progetto che richiede tempi lunghi. Abbiamo tutto questo tempo?

«È sufficiente fare le riforme che servono a rendere moderno il Paese, così da recuperare 10 punti di Pil: a cominciare da quella del mercato del lavoro e della Pubblica amministrazione. È un problema di produttività. E di pensioni pagate a gente che non le ha guadagnate».

La riforma Fornero non ha rimediato a queste incongruenze?

«Infatti: è una riforma così seria che è sempre sotto tiro».

Lo studio di Mediobanca individua altri problemi: l'elevato debito pubblico e la scarsa crescita negli ultimi 15 anni.

«Appunto: troppo pochi quelli che lavorano, troppi scioperi e poche riforme. Senza dimenticare il governo: ne occorre uno stabile, in grado di essere un attore quasi di pari grado con Germania e Francia quando fra due anni si ridiscuterà del futuro dell'Europa».

Una stabilità che, storicamente, sembra impossibile...

«Solo nei primi anni del dopoguerra abbiamo avuto un esecutivo forte e duraturo, poi la situazione è degenerata. Se continuiamo così conteremo come Malta».

Bastano le riforme e un governo stabile per aggredire la montagna del debito?

«La Guardia di Finanza ha stimato in 109 miliardi le tasse non pagate. Recuperando 50 miliardi si comincia a rimborsare il debito pubblico, con gli altri si modernizzano le infrastrutture, costruendo per esempio case anti-sismiche».

Il Tesoro avrebbe potuto fare di più in un periodo in cui c'è lo scudo Bce?

«Certamente. Negli ultimi 24 mesi avrebbe dovuto allungare di più la vita media del debito con l'emissione di titoli a 40-50 anni per importi robusti».

Ma quando Draghi cambierà rotta saremo in grado di sostenere il peso del debito?

«I tassi di interesse andrebbero al 15% se usciamo dall'euro. Dobbiamo capire che non si deve svalutare, ma lavorare. Non mettiamo a posto i conti con l'Italexit».

Non è che i poteri forti si stanno accorgendo che l'euro li danneggia?

«Non ho mai visto né grandi vecchi, né burattinai. Ci sono piccoli centri di potere e un Paese che non si è dato istituzioni moderne in grado di invogliare i detentori di capitali a diventare capitalisti».

Mediobanca sta difendendo un mondo che rischia di sparire?

«Le sue considerazioni potrebbero non essere infondate».

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