Altro che tranquillo: Monti teme che i marò finiscano impiccati

La stampa indiana smentisce il racconto ufficiale della telefonata con il premier di New Delhi. Delhi non esclude affatto la pena di morte

Marò in commissariato per la firma settimanale
Marò in commissariato per la firma settimanale

Il presidente del Consiglio Mario Monti «è preoccupato» che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone «vengano impiccati nonostante le precedenti assicurazioni indiane» e per questo ha telefonato al premier di Delhi. Non lo scrive il Giornale, ma l'Hindustan Times, un importante quotidiano che come gran parte della stampa indiana fornisce una versione differente della telefonata del 9 aprile fra Monti e il premier Manmohan Singh. Con un «vittorioso» comunicato Palazzo Chigi annunciava che la riconsegna dei marò a Delhi «contribuirà a rendere più sollecita una positiva soluzione del caso». Secondo il governo, Singh avrebbe detto «che l'intero procedimento (contro i marò) potrà essere concluso rapidamente». La velina è stata ripresa dai giornaloni e dalle tv italiane, ma ieri mattina la stampa di Delhi, virgolettando fonti ufficiali, non riportava una riga sulle ottimistiche previsioni di soluzione celere e positiva del caso marò. Anzi scriveva a chiare lettere che per il premier Singh «alla luce delle indagini in corso sarebbe prematuro esprimere un parere su aspetti specifici». Nessuna assicurazione su possibili esiti «solleciti» e «positivi». L'Hindu sosteneva addirittura che Monti nella telefonata non ha «ricevuto una ferma assicurazione che la pena di morte non dovrebbe venire applicata ai due marò».
Nel numero in edicola oggi Panorama rivela il contenuto della lettera di garanzie del governo indiano sul rientro a Delhi dei marò. Il ministero degli Esteri indiano aveva messo nero su bianco che «secondo una giurisprudenza ampiamente consolidata questo caso non ricadrebbe nella categorie di fattispecie che comportano la pena di morte, cioè i più rari tra i casi rari. Di conseguenza, non si deve avere alcuna preoccupazione a questo riguardo». L'aspetto paradossale è che la Farnesina, fino a ieri, continuava a rifiutarsi di rendere noto il documento, nonostante il viceministro De Mistura l'avesse sventolato e citato senza mai renderlo pubblico.
Però, dopo aver rimandato Latorre e Girone in India calandoci le braghe, le autorità di Delhi hanno passato l'inchiesta sul caso alla Nia: una specie di Fbi locale, che ha ripreso tutte le accuse del Kerala contro i marò comprese quelle che prevedono la pena di morte. Per questo Monti ha alzato la cornetta chiamando il capo del governo indiano. Ieri l'Hindustan Times non a caso titolava: «Un preoccupato premier (italiano) telefona a Singh».
L'idea non peregrina dell'arbitrato internazionale lanciata l'11 marzo, quando si era deciso di tenere i marò in Italia, è rimasta lettera morta. E in più stiamo rinunciando all'ultima linea del Piave. Nella stessa telefonata di Monti a Singh, per chiedere che non condannino a morte i marò, abbiamo implicitamente riconosciuto la giurisdizione indiana. Su Facebook, l'ex ministro degli Esteri Giulio Terzi, ha subito scritto: «Torno tuttavia a ribadire *a gran voce e con fermezza* che nulla vieta che il Governo italiano chieda (anche unilateralmente, non serve l'assenso dell'India) di aprire un arbitrato internazionale su questo delicato e importante dossier, al fine di ribadire - cosa che abbiamo sempre detto e che invece ad oggi pare purtroppo non essere più di "attualità" - che la giurisdizione del caso non può che essere italiana...».
Panorama ha anche rivelato il contenuto di una seconda lettera del segretario generale della Farnesina, Michele Valensise. L'alto funzionario invitò Terzi a dimettersi, il 26 marzo, come poi avvenne chiedendo che «l'odierno intervento in Parlamento costituisca l'ultima occasione utile per dissociare pubblicamente le responsabilità del ministro degli Esteri da quelle di coloro che, in questa vicenda, hanno voluto sacrificare la linearità e la coerenza dell'azione dell'Italia». Ovvero il voltafaccia di rimandare a Delhi i marò, dopo aver deciso dieci giorni prima di trattenerli in Italia.


«In segno di solidarietà nei confronti dei Fucilieri di Marina, trattenuti in India», l'unione nazionale Sottufficiali ha indetto una manifestazione domani a Taranto. Al corteo parteciperanno i sindacati di polizia, degli agenti penitenziari, del corpo forestale, dei vigili del fuoco e l'Associazione nazionale marinai d'Italia.

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