Un altro Nobel sulla fiducia e uno scivolone su Malala

Premiata l'Opac, l'ente anti armi chimiche che deve ancora dimostrarsi efficace a Damasco. Bocciare la ragazza pachistana è l'ennesima prova di irrilevanza

Malala Yousafzai
Malala Yousafzai

Avevano Malala, la piccola pachistana che ha quasi dato la vita per aprire la strada verso la scuola a tutte le bambine in un mondo di talebani assassini: solo il Cielo sa che cosa può avere trattenuto la sussiegosa, pretestuosa giuria del Premi Nobel dall'assegnarle il premio per la Pace per appuntarlo ancora una volta sullo smoking della loro stantia correttezza politica, fatta di prevedibili sorrisetti e formalità, riflessa nello specchio delle loro brame. Il Nobel è andato a un'aspirazione condivisibile: quello che in inglese si chiama wishful thinking, letteralmente pensiero desideroso, o desiderante, è dedicato all'Opac, l'Organizzazione per la Proibizione della Armi chimiche nata il 29 aprile del '97 che collabora con l'Onu, gruppo meritorio che lavora duro, per «verificare l'adesione alla convenzione sulle armi chimiche».
La motivazione del Nobel è legata al fatto che l'organizzazione ha 27 ispettori in Siria per smantellare l'arsenale chimico di Assad e distruggere circa mille tonnellate di gas nervino in una situazione di guerra molto pericolosa. Per ora il team, certo fatto di gente coraggiosa, ha ispezionato tre siti e deve visitarne una ventina. Ha un compito difficilissimo per il quale li ammiriamo, che vorremmo vedere realizzato ma che, e questo è incontrovertibile, non è ancora stato realizzato e chissà se lo sarà mai. La collaborazione con gli uomini di Assad può condurre su false piste, la guerra può fermare o rallentare l'operazione in maniera definitiva, il trasbordo di armi chimiche compiuto da Assad in Irak e in Libano può rivelarsi lesivo della possibilità di togliere di mezzo i pericoli peggiori, i ribelli possono boicottare un'impresa che sta giovando a Assad. Insomma il Nobel sceglie una strada non pragmatica che rischia l'inconsistenza, soprattutto quando si sa che l'alternativa di Malala era pragmatica, una promozione politica, un messaggio a tutto il mondo islamico.
Il Premio Nobel per la Pace ha dimostrato molte volte una preferenza per la faciloneria: il desiderio di compiacere il gusto popolare lo rende irrilevante. L'Unione europea, nel 2012, è stata premiata al picco del malessere economico che tutti i suoi abitanti soffrono; l'elogio della pace che avrebbe portato, è contraddetto dalla situazione di serbi, kosovari, croati, azeri, armeni, curdi, turchi, ciprioti, ceceni, osseti, albanesi, macedoni. In Medio Oriente l'Europa è un danno, il suo atteggiamento verso il conflitto israelo palestinese tendenzioso, il suo tocco sulle «primavere arabe» è stato esornativo e subalterno.
Nel 2009 il bizzarro premio a Obama appena eletto gli fu assegnato solo perché non era George Bush, senza nessuna garanzia. Infatti il seguito ha dimostrato che quel premio lo ha issato, sin dal discorso del Cairo su una nuvola di universalità che hanno gettato il mondo nella più grande confusione. Carter è stato mallevadore dell'accordo israelo egiziano, ma ha lasciato che l'Iran fosse inghiottito nella deriva islamista; El Baradei, mentre era il capo dell'Agenzia Internazionale per l'energia atomica che avrebbe dovuto denunciare le strutture atomiche iraniane, di fatto e forse anche di diritto ha aiutato gli ayatollah nel loro scopo; Yasser Arafat ha rifiutato la migliore delle paci con Israele, mentre era senz'altro stato l'inventore di gran parte del terrorismo internazionale; Kofi Annan, come dice la motivazione, forse avrebbe voluto che l'Onu «lavorasse per un mondo meglio organizzato e più pacifico» ma ditemi voi se ce l'ha fatta. Poi ci sono i pressappochismi puri e semplici, come il premio a Rigoberta Manchu, sulla base di informazioni poi risultate false.

Sarebbe bello istituire il Premio Nobel mancato: oltre a quello di Malala, ci sono due buchi neri nel 1948, quando il Nobel non fu assegnato per mancanza di candidature ritenute degne. Era l'anno in cui fu assassinato Gandhi e in cui Ben Gurion proclamava lo Stato d'Israele. A Oslo non se ne accorsero.

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