Un pm rimosso dall'inchiesta che sta terremotando la Turchia e il coinvolgimento del figlio del premier, su cui gli investigatori stanno indagando. L'incubo di Gezi Park, rafforzato dal mega scandalo di corruzione, torna prepotente a turbare i sonni di un Erdogan ormai destinato a recitare il copione di un leader finalmente allo scoperto, e da cui partono strali di guerra contro tutto e tutti. Che si ritrova un popolo intero in piazza per manifestare la propria contrarietà verso un leader nell'angolo, che fino ad oggi ha (forse) troppo promesso una democrazia che non è evidentemente nelle sue corde. Secondo il quotidiano Cumhuriyet, dopo i figli dei ministri coinvolti in abusi edilizi e il capo della banca pubblica Halkbank, potrebbe toccare presto anche al figlio del premier, Bilal, e ad una ong a lui legata. Mentre il pubblico ministero, Muammer Akkasm, ha denunciato pubblicamente di essere stato messo da parte dichiarando che «è stato commesso un crimine in tutta la catena del comando» e «i sospettati sono stati autorizzati a prendere precauzioni, fuggire e manomettere le prove». Il primo ministro turco, che aveva bussato alle porte dell'Occidente proclamandosi moderno e riformista per poi scoprirsi denso di falle democratiche e liberali, oggi difende il proprio mandato sostituendo dieci ministri e deleghe. Un attimo dopo il passo indietro dei titolari di Interno, Economia e Ambiente, ecco che non è solo il sodale politico di un tempo ad abbattersi contro Erdogan, ma anche i cittadini. Prima le parole dell'imam Fetullah Gülen, classe 1938, fautore della compatibilità tra fede islamica e democrazia. È stato di fatto il predicatore dei «turchi neri» dell'Anatolia, mentre in quegli anni Erdogan era il politico che per primo li aveva legittimati contro l'elite dei «turchi bianchi» di Istanbul e Ankara. Ma dopo aver dato vita insieme alla «Hizmet» (Servizio), la cose cambiarono di pari passo alla reislamizzazione coatta portata avanti da Erdogan. Oggi il premier accusa il predicatore che vive a Philadelphia e che lo ha pesantemente attaccato in occasione della repressione di Gezi Park, di essere il regista di una vera e propria cospirazione americana ai suoi danni, nonostante proprio dagli Usa Erdogan abbia ricevuto numerosi assist diplomatici, sia sul versante cipriota per lo sfruttamento degli idrocarburi nella Zee, sia su quello greco, con gli sconfinamenti aerei dei caccia turchi. A ciò si aggiungano due elementi comunicativi determinati e determinanti: la stampa pro-Erdogan chiede l'espulsione dell'ambasciatore statunitense ad Ankara e lo stesso premier usa toni staliniani contro i suoi oppositori, arrivando a dichiarare pubblicamente che «taglierà le mani» dei suoi avversari politici se useranno lo scandalo corruzione per minare il suo potere. Nel mezzo la stampa continentale permissiva che, stoltamente, chiede l'ammissione della Turchia all'Ue come un compromesso alla crisi, e un popolo che, di nuovo in piazza dopo i morti e gli scontri dell'agosto scorso, invoca a gran voce le sue dimissioni. Ancora ieri la polizia turca ha utilizzato gas lacrimogeni e idranti contro i manifestanti, mobilitati da organizzazioni vicine all'opposizione, scandendo slogan contro Erdogan come «La corruzione è ovunque» e «La resistenza è ovunque».
Sui social network turchi la chiamata alla piazza è ormai un mantra, con i militanti pro Erdogan che per tutta risposta hanno organizzato per questa sera una contromanifestazione in Piazza Taksim con lo stesso premier che dovrebbe essere sul palco. Ma la turbolenza si avverte anche all'interno del partito di Erdogan, l'AKP, dove due parlamentari hanno già rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro il tentativo del leader di chiudere le scuole private appartenenti al movimento di Gülen.
Chalouk Ozntalgka e Erdal Kalkan contestano anche la revisione del regolamento promosso dal governo, che impone alla polizia di informare i loro superiori su tutte le indagini svolte .
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