La complessità di Teheran, modernissima e khomeinista

Come i mosaici delle moschee di Isfahan, così la capitale iraniana è molto più sfaccettata di come spesso viene dipinta

/ Emanuele Luca
/ Emanuele Luca

Teheran - Le scale mobili si susseguono in un'infinita sequenza, una dopo l'altra, verso le viscere della terra. Donne velate con chador neri si mischiano a ragazze con piccoli foulard colorati poggiati su chignon, truccate, estremamente sexy e con tutti i capelli fuori. Sembra di stare in un quadro di Andy Wharol o in una sfilata nella sua factory.

Quando la serie quasi ipnotica di scale mobili e volti termina, arriviamo alla banchina della fermata di Tajrish, il capolinea della metropolitana a nord di Teheran. In superficie la fermata è incastonata tra le alte vette dei monti Elbruz, che superano i cinquemila metri, e i condomini della zone più ricche della città. La neve e il freddo pungono la faccia.

Essendo il centro di Teheran a quote molto più basse, per raggiungere i treni gli ingegneri si sono inventati la loro personale versione del “Viaggio al centro della terra” di Jules Verne: una fermata a settanta metri sotto terra. Il sistema metropolitano di Teheran è uno dei più grandi del Medio Oriente. Il servizio di treni sotterranei trasporta ogni giorno 2,5 milioni di passeggeri grazie alle linee già attive, e il numero aumenterà di molto quando i lavori per le nuove tratte saranno terminati.

L'Iran è un Paese la cui complessità è paragonabile solamente ai mosaici delle cupole delle moschee di Isfahan, capolavori d'arte dove ogni singolo tassello è unico e fondamentale per comporre il tutto. Il piccolo intarsio di ceramica rosa, che forma parte di un petalo, combacia perfettamente con il suo vicino blu che è parte dello sfondo geometrico su cui il fiore posa, e con il pezzetto bianco che con i suoi cugini forma uno splendido gioco di calligrafia. Il tutto, per gli occhi che guardano la spirale verso l'alto, diventa la porta per un viaggio ipnotico verso dio, o, per i non credenti, verso la poesia. Così prendere la metro di Teheran è un itinerario metafisico per comprendere il Paese, dove le donne sexy quasi svelate, quelle a cui il velo cade sulle spalle e viene tirato su solo per costrizione, le donne con lo chador nero per mancata capacità di ribellarsi e quelle che lo indossano per convinzione, diventano i tasselli del mosaico che alla fine compone questo Paese affascinate, contraddittorio e sempre sorprendente.

Prendiamo il primo treno che passa. Tutto è modernissimo ma esistono alcuni vagoni solo per donne e altri misti, in teoria esclusivamente per uomini o ragazze accompagnate dai mariti o da famigliari. Nella realtà tutti se ne fregano e molte ragazze sole camminano fiere in mezzo ai vagoni per soli maschi. E' la fiera delle vanità - nasi rifatti, vestiti attillati, rossetti rosso fuoco - che cammina a braccetto con donne avviluppate nei lunghi chador neri che incarnano nel sangue e nei vestiti l'ideologia khomeinista più pura. Non tutte le donne con il velo nero ci credono, anzi, magari lo indossano per obbedienza o per semplice stanchezza, altre, invece, lo fanno per ideologia.

Le tigri sexy invece, all'opposto, si ribellano e usano il proprio corpo per affermarsi nella società. Per ribadire che loro si ricordano dell'antica cultura persiana, non sono occidentalizzate, come molti europei pensano, ma colte. Hanno letto le poesie dei grandi poeti medioevali persiani, visto le miniature e gli affreschi del periodo safavide. Sanno che si può essere donne iraniane, bere alcolici, essere sexy e credere in dio. Le signore che usano lo chador non necessariamente odiano le altre, non è raro vederle camminare a braccetto con ragazze dai foulard microscopici. Un volta una di loro, ne quartieri più poveri del Sud, non lontano dall'antico forte della città, fermò una mia amica iraniana con i capelli al vento dicendole: “Stai attenta a quei due guardiani della rivoluzione che potrebbero crearti problemi”. Lo disse con complicità, non con come la purezza che parlava al peccato.

E' buffo notare che chi indossa lo chador, a volte, sentendosi nel solco della legge, diventa prepotente e spintona gli uomini, non rispettando le code. Un giorno, camminando per Ferdusi avenue, una di esse, sulla cinquantina, passando, mi toccò l'inguine, feci un salto che ancora me lo ricordo. Se non fosse per il timore che la polizia avesse visto la scena, avrei riso per un'ora.

I nomi delle fermate pronunciati dalla voce elettronica si susseguono come in una dolce cantilena che solo il Farsi può creare: Tajrish, Shahid Sadre, Gholhak, Dr Ali Shari'ati, Mirdamad, Shahid Haghani... Andiamo in direzione del centro città, verso il bazar. La metro comincia a essere piena e ogni due minuti passa un venditore ambulante di pile, cappelli, guanti e oggetti vari. Il contrasto tra la modernità scintillante della metro e l'umiltà dei venditori è esternamente forte. L'Iran è sempre stato un Paese abbastanza ricco grazie alle enormi disponibilità di petrolio e gas e alle risorse umane bene istruite e colte, ma le sanzioni economiche, arrivate a seguito del controverso piano nucleare del Paese, hanno messo a dura prova l'economia e creato un'iperinflazione che ha reso tutti i prodotti che la Persia importa costosissimi, compreso il petrolio. Sembra un paradosso, ma l'Iran non ha raffinerie degne di questo nome, quindi vende il prodotto grezzo e lo compra raffinato a prezzo di mercato, per poi immetterlo nel Paese a prezzi sovvenzionati. Ogni cittadino ha diritto a un tot di litri al mese, superati i quali lo paga a prezzi internazionali.

Gli avventori degli ambulanti si fermano discreti e comprano le loro merci, molti di loro, uomini e donne, hanno un cerotto sul naso: ecco un'altra enorme contraddizione, nonostante la crisi economica, moltissime persone, uomini e donne, ricchi e poveri, si rifanno lo splendido naso aquilino, per trasformarlo in un banale nasino alla francese. Una mia cugina persiana, un giorno per divertirsi, si mise un finto cerotto in faccia e si fece un giro per mezza città: come una vera attrice voleva, per qualche ora, interpretare la parte di quei ragazzi e ragazze che non comprendendo la nobiltà di un naso persiano, si omologano ai volti che vedono in televisione.

La cantilena continua: Shahid Mofatteh, 7th of Tir, Taleghani, Darvazeh Dowlat.. Fermata dopo fermata arriviamo a 15th of Khordad e scendiamo. Essendo riemersi al centro della città, qui gli scalini sono molti di meno. Usciamo e ci troviamo tra il Bazar, l'ex palazzo reale del Golestan, e gli attuali edifici del potere che occupano quelli che un tempo furono costruiti appositamente dai Pahlavi. I palazzi in marmo e mosaico hanno una notevole rassomiglianza con le architetture fasciste italiane e sono, insieme alle poche case ottocentesche rimaste, tra i pochi edifici di pregio architettonico della città. Teheran divenne capitale solamente alla fine del Settecento. Prima era un piccolo abitato e fino all’inizio del Novecento tutte le abitazioni avevano un solo piano. Per questo lo Shah Reza Pahalavi - mi raccontava mia nonna un po' ridendo e un po' rimpiangendo la vecchia Teheran - volendo che la capitale fosse simile a quelle occidentali, decise un giorno che gli edifici dovessero essere tutti di due piani: il risultato fu che molti abitanti non avendo i soldi per costruire un secondo livello fecero solamente finte facciate, lasciando il retro completamente vuoto. Oggi Teheran è una megalopoli con un area metropolitana abitata da quasi 13 milioni di abitanti, non si può dire che sia bella, ma ha un certo fascino. La sue opere d'arte sono le persone, quei ragazzi che fanno feste incredibili, dove gira un po' di tutto, dalla droga, all'alcol: nei quartieri a nord ogni eccesso è norma.

Nelle ville, dove si ascolta la stessa musica house che si sente a Parigi o a New York e dove le feste possono finire anche alle dieci di mattina, si parla di economia, arte, cinema, moda, nuove tecnologie. La gente è colta e raffinata. Con meno fasto, ma in modo non molto dissimile, le serate della maggior parte dei ragazzi della città, sanno essere vitali e sorprendenti. Nessuno è davvero povero, ma hanno fame di libertà. Vogliono poter esprimere la loro individualità di persone, nei confronti di una società che tende a schiacciarli in nome di una morale superiore a cui tutti dovrebbero adeguarsi. Ma la bellezza di Teheran è invece proprio questo trionfo delle diversità. Questo luogo dove le donne tutte avvolte di nero convivono con ragazze che sanno essere più sexy e vezzose di tante parigine. I ragazzi amano la musica, vanno a sciare o a fare snowboard sulle montagne sopra la città, guardano le decine di canali in persiano della comunità iraniana di Los Angeles e parlano tutte le settimane con i milioni di connazionali che vivono all'estero.

Paradossalmente, l'Iran ha un rapporto con gli Stati Uniti fortissimo a tutti i livelli. Negli Usa vi è una comunità persiana che conta più di settecento mila persone, tutta la musica e i film che la gente ama, vengono trasmessi dalle televisioni satellitari fatte in parte negli Stati Uniti che per questo vengono amati visceralmente dalla media borghesia iraniana. Se c'è un Paese dove il sogno americano è ancora vivo è proprio la Persia. Paradossalmente “il grande satana”, come viene chiamato dai vertici della repubblica islamica, è importante anche per gli Ayatollah: non ci sarebbe Dio senza il diavolo, non ci sarebbe ideologia senza un nemico.

Usciti dalla metro ci perdiamo nella nuova isola pedonale davanti al Bazar, i giovani passeggiano e fanno shopping. Impossibile non notare alcuni volti contornati da mini sciarpe rosso fuoco, rosa shocking, o più eleganti, ma sempre allegre. La vitalità della gioventù spruzza da tutti i pori, ti sorridono, ti fermano per parlare, per sapere cosa pensi. Entriamo nel labirintico Bazar, ci fermiamo nella zona della biancheria intima, folle di donne per lo più tutte bardate di nero e dall'aria estremamente conservatrice si litigano mutandine e reggiseni di pizzo, tigrati, d'oro e d'argento: si fanno sexy per i loro mariti.

Rientriamo in metro e scendiamo a Ferdusi. Dopo una visita al museo dei gioielli dello Shah, dove diamanti, rubini perle e pietre preziose di ogni genere, sono buttati nei piatti con la stessa abbondanza con cui la frutta viene messa nelle ceste nei mercati, andiamo a fare un giro negli antiquarietti di Manucheri street. Entriamo in un negozio con le stelle di David sulla porta: seppellito tra i cocci e coccetti, il proprietario, uno dei venticinque mila ebrei che ancora vivono in Iran, ci accoglie con un sorriso profondamente orientale. La comunità è ancora attiva nel Paese e durante le ultime trattative sul nucleare con gli Stati Uniti, il nuovo presidente Hassan Rouhani e la guida suprema,l'ayatollah Ali Khamenei hanno mandato a trattare anche il parlamentare che rappresenta al Majilis la comunità ebraica. Una riposata implicita alla convinzione del governo israeliano che la volontà di Teheran di trovare un accordo con la comunità internazionale sia solo una tattica per guadagnare tempo nella corsa all'atomica. Molti non la pensano così. Secondo alcuni analisti, il regime iraniano aveva placato la vastissima e maggioritaria opposizione alternando la tolleranza alle feste, all'alcol, alle droghe, alla voglia di diversi e perfino al sesso - purché fatto nell'ombra delle proprie case - alla mano pesantissima se solo si fosse parlato di politica mettendo in discussione lo status quo. Per facilitare questa situazione il governo aveva favorito anche una certa redistribuzione economica. Nonostante le crescenti disparità e la corruzione, il Paese, navigando nel petrolio e nel gas, rimane pur sempre piuttosto benestante. Lo scambio “divertivi e godete in silenzio, ma non parlate di politica” è naufragato con la rivolta verde nel 2009, quando il governo non ha esitato a sparare su chi protestava. I leader politici che appoggiarono gli studenti sono ancora in carcere.

Questo fragile equilibrio è peggiorato ancora con l'aggravarsi delle sanzioni economiche contro la politica nucleare del Paese. A seguito dell'iperinflazione la repubblica islamica si è alienata anche le simpatie di quel 30 percento di popolazione che la sosteneva. E’ proprio per questo, secondo molti esperti di geopolitica, che la guida suprema, l'ayatollah Khamenei, avrebbe favorito un rapido cambio del cavallo, abbandonando l'ala destra del regime, raccolta dietro all'ex presidente Mahmud Ahmadinejad, e puntando sull'attuale capo del governo, Rouhani, vero “asso pigliatutto” della politica iraniana. Il neopresidente riesce infatti ad avere il consenso sia della guida suprema, sia del potentissimo ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani che rappresenta l'ala pragmatica della repubblica islamica, quella che pensa a salvare le grandi imprese di stato, e sia, seppur con molti dubbi, di una parte di ragazzi che hanno partecipato alla rivoluzione verde. Solo il tempo dirà quale delle mille anime della repubblica sciita finirà per prevalere e se il riavvicinamento con Washington sia una tattica o una reale prospettiva politica.

Decidiamo di fare un ultimo giro, rientriamo in metropolitana e scendiamo alla fermata Saadi: da qui ci perdiamo in un’isola pedonale dove tutti vendono borse. Gruppi di amiche e ragazze accompagnate dai mariti, o forse fidanzati, tutte eleganti e molto progressiste, si soffermano su ogni vetrina sognando, bramose, borse all'ultima moda. Guardiamo l'orologio, siamo in ritardo e decidiamo di ritornare verso Tajrish. Stanchi per la lunga giornata ci assopiamo ascoltando l'ormai consueta cantilena: Gholhak, Shahid Sadr, Gheytariyeh, Tajrish. Dopo un po' mi rendo conto che siamo al capolinea, sveglio il mio amico e usciamo. Una volta fuori prendiamo un taxi e ci

538em;">dirigiamo a casa di alcuni ragazzi che conosciamo. Suoniamo, una ragazza con un bicchiere di vino in mano e senza velo ci apre la porta, ci sorride e ci dice benvenuti in Iran.

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