Gli indiani hanno tenuto in «ostaggio» per un anno i nostri due marò e adesso provano a fare lo stesso con l'ambasciatore d'Italia, Daniele Mancini. La Corte suprema gli ha intimato di non lasciare il paese in spregio all'immunità diplomatica. L'ambasciatore è «colpevole» di aver firmato l'affidavit che garantiva il rientro in India di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, dopo il permesso concesso per il voto. Peccato che secondo la Convenzione di Vienna del 1961 il diplomatico gode di una immunità funzionale «e la responsabilità delle azioni che compie ricade sul suo Stato». L'11 marzo è stato il governo Monti a decidere che i marò devono restare in patria.
Non a caso quando il governo di Delhi ha convocato Mancini per la notifica della Corte suprema l'ambasciatore ha respinto il divieto di lasciare l'India. L'ordinanza dei giudici indiani, in possesso de il Giornale, non lascia spazi a dubbi: «Mr. Daniele Mancini non può lasciare l'India senza il permesso della Corte». L'India sostiene di non aver violato la Convenzione di Vienna, che però recita: «L'immunità diplomatica comporta l'inviolabilità personale (particolari misure protettive e divieto di procedere con fermi, arresti o perquisizioni) e l'immunità dalla giurisdizione sia civile che penale».
I giudici Anil R. Dave e Vikramajit Sen fanno riferimento nell'ordinanza alla «nota verbale 89/635 dell'11 marzo 2013 ricevuta al ministero degli Esteri (indiano) dall'ambasciata italiana». In pratica l'annuncio che i marò non torneranno a Delhi entro il 23 marzo come stabilito dalla stessa Corte suprema. Gli alti magistrati ricordano l'impegno firmato da Mancini, che definiscono sempre Mister e mai ambasciatore. Poi intimano al nostro diplomatico di dare spiegazioni, anche per iscritto, «con una comunicazione alle 10.30 del 18 marzo». Fino a quel momento non potrà lasciare l'India. Il giorno dopo si terrà un'udienza che teoricamente dovrebbe decidere la sorte dell'ambasciatore. Il perentorio avviso della Corte suprema dovrebbe essere consegnato anche a Latorre e Girone attraverso l'ambasciata indiana a Roma.
Due giorni fa il leader del partito nazionalista d'opposizione Bjp, Subramanian Swamy, ha chiesto di arrestare i marò in Italia via Interpol e un'azione legale contro l'ambasciatore Mancini per «oltraggio» al massimo organo giudiziario indiano.
Delhi mostra i muscoli anche su altri fronti bloccando la partenza per l'Italia, prevista oggi, del nuovo rappresentante diplomatico, Basant Kumar Gupta. Il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Syed Abbaruddin, ha annunciato minacciosamente: «Abbiamo cominciato uno studio delle interazioni con l'Italia e alla fine di questo processo interno prenderemo le azioni appropriate». Delhi è pronta ala rappresaglia e per questo motivo ha convocato anche l'ambasciatore dell'Unione europea, Joao Cravino.
La Farnesina tace e ieri da Gerusalemme il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha solo ribadito «la posizione solida dell'Italia nel rispetto del diritto internazionale». Poi ha sottolineato l'appello dell'Onu a risolvere diplomaticamente la crisi. Sull'ambasciatore «trattenuto» in India nemmeno una parola. Sull'altro fronte caldo di Finmeccanica, la società ribadisce che nel dossier consegnato agli indiani si dimostra nel dettaglio l'infondatezza delle accuse su triangolazioni e sovrafatturazioni, relative alle presunte tangenti pagate per la vendita di 12 elicotteri a Delhi.
Nel frattempo i fucilieri del San Marco imbarcati come nucleo di protezione a bordo del mercantile «Maria Cristina Rizzo» hanno respinto un attacco dei pirati nel golfo di Aden.
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