«Greenpeace si presenta come un'associazione per la difesa dell'ambiente, in verità è una multinazionale che cerca potere politico e denaro». Queste parole pronunciate esattamente venti anni fa dal regista islandese Magnus Gudmundsson, autore di un documentario choc su Greenpeace, sembrano ora trovare conferma nei fatti clamorosi rivelati dal settimanale tedesco Der Spiegel: Greenpeace International, con sede ad Amsterdam, ha infatti bruciato 3,8 milioni di euro in una spericolata operazione finanziaria, una scommessa contro l'euro. La stessa organizzazione ecologista ha dovuto ammettere la perdita, ma il suo portavoce Mike Townsley ha cercato di limitare i danni, se non altro quelli di immagine, affermando che si è trattato di un'iniziativa personale di un suo dipendente, già licenziato. La preoccupazione dei vertici di Greenpeace è ovvia: i quasi 4 milioni di euro perduti pur essendo una cifra rilevante non mettono a rischio i vari progetti in corso, visto che il budget annuo dell'organizzazione sfiora i 300 milioni; ma l'emergere di speculazioni finanziarie può far sorgere qualche domanda nei suoi tre milioni circa di donatori sparsi nel mondo mettendo a rischio questo serbatoio di denaro che fa di Greenpeace la più ricca organizzazione ecologista mondiale.
In effetti, quella di un dipendente che preso da «raptus finanziario» si lancia in operazioni speculative degne del migliore George Soros, senza che nessuno dei responsabili di Greenpeace ne sappia nulla, appare come una bella storiella a uso dei creduloni. Ma chi conosce la storia e la struttura di Greenpeace sa bene che questa versione ha credibilità pari a zero. La multinazionale dell'ambientalismo è costituita da una galassia di oltre 40 uffici nazionali - di cui la sede di Amsterdam è il cuore pulsante - dalla guida fortemente centralizzata, con dodici grandi elettori (rappresentanti delle sedi che versano i maggiori contributi a Greenpeace International) che decidono tutto, dalle campagne da promuovere all'uso dei fondi. E proprio sulla questione delle risorse finanziarie si sono sommate nel corso degli anni una serie di accuse, perché la gestione non è mai stata trasparente. Lo stesso Der Spiegel nel 1991 rivelava che in Germania operava una fitta rete di società ombra controllate al 100% da Greenpeace, ma che non apparivano in bilancio, così da permettere all'organizzazione di mantenere il suo status di organizzazione senza scopo di lucro e accedere alle esenzioni fiscali.
Ma le rivelazioni più clamorose sono state fatte dal già citato documentario della tv danese nel 1993, in cui si affermava l'esistenza di una serie di conti bancari segreti su cui transitavano decine di milioni di dollari provenienti dalle donazioni per specifiche campagne e che erano accessibili soltanto ai leader di Greenpeace. Guarda caso, sotto accusa era proprio Greenpeace International, alle cui dipendenze aveva lavorato l'autore di queste rivelazioni, l'ex capo contabile della sede olandese Frans Kotte. Secondo le testimonianze raccolte dai giornalisti danesi, questi soldi venivano investiti in operazioni poco chiare e in parte finanziavano anche gruppi eco-terroristi.
Del resto che l'interesse genuino per l'ambiente fosse già svanito da un pezzo lo aveva detto anche uno dei fondatori di Greenpeace, Patrick Moore, che ha lasciato l'organizzazione nel 1986 e che recentemente l'ha accusata di crimini contro l'umanità. Eppure c'è ancora chi crede che Greenpeace sia una benefica organizzazione che ha a cuore le sorti del pianeta.
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