Le autorità del Kerala non avevano alcun potere per sbattere in galera, indagare e processare Salvatore Girone e Massimiliano Latorre per la morte, tutta da chiarire, di due pescatori indiani. New Delhi, però, metterà in piedi un tribunale speciale per giudicare i due fucilieri del reggimento San Marco. Lo ha deciso ieri la Corte suprema indiana con un verdetto di oltre 100 pagine, che il Giornale ha ricevuto integralmente da Delhi. Una sconfitta a metà per il governo Monti, che puntava sul riconoscimento della giurisdizione italiana ed un processo in patria. Il giudice Altamas Kabir, che presiede la Corte suprema, ed il suo collega J. Chelameswar hanno trovato la strada del compromesso dando un colpo al cerchio ed uno alla botte. I marò si lasciano alle spalle il Kerala, ma la saga continua nella capitale.
Al punto 84 della lunga sentenza il giudice Kabir tira la prima linea rossa: «(...) L'incidente è avvenuto ad una distanza di 20,5 miglia nautiche dalla costa dello Stato del Kerala (...). Quindi non nelle acque territoriali (...) ma all'interno della zona contigua entro la quale la polizia dello stato del Kerala non ha giurisdizione». Poche righe dopo si torna a spiegare che il Kerala non aveva alcun «potere di investigare» o di istruire un processo contro i marò. A questo punto ci si chiede chi pagherà per quasi undici mesi di umiliazioni. Per l'arresto e la galera dei due fucilieri di marina senza che le autorità locali avessero alcun diritto.
Secondo il giudice è lo stato centrale che «secondo la legge avrebbe dovuto investigare e decidere gli ulteriori passi». In realtà con il partito di Sonia Ghandi, al governo, Delhi non voleva farlo per evitare le facili critiche dell'opposizione.
La Corte suprema, però, nega «l'immunità sovrana» ai due fucilieri, che automaticamente li avrebbe fatti ripartire per l'Italia. E al punto 99. il giudice Kabir tira il siluro alla richiesta italiana sulla giurisdizione: «Senza dubbio l'incidente è avvenuto in acque contigue sulle quali (...) l'Unione indiana ha il diritto di esercitare il diritto di sovranità». Il presidente della Corte suprema cita normative e convenzioni internazionali come la Unclos 1982, che per sua stessa ammissione potrebbe servire a trovare una via di uscita nel procedimento a Delhi. Al punto 100. Altamas Kabir è categorico: «La sparatoria fra la nave italiana e la barca indiana è avvenuta nelle acque contigue» e questo significa che l'India «ha il diritto di processare i due marines».
Il governo Monti ieri si è detto «fiducioso». Secondo un comunicato di Palazzo Chigi «l'Alta Corte ha riconosciuto che i fatti avvennero in acque internazionali e che la giurisdizione non era della magistratura locale del Kerala. La decisione incoraggia l'ulteriore impegno già assicurato in questi mesi». Peccato che la sentenza non parli mai di acque internazionali, ma contigue e proprio questo dettaglio ha «liberato» i marò dal Kerala per trasferirli ad un altro procedimento giudiziario a Delhi. Al punto 101 della sentenza si stabilisce che l'India «ha la giurisdizione di procedere con l'inchiesta ed il processo» dei marò e specificatamente per questo caso si «formerà una Corte Speciale». L'Italia potrà invocare l'articolo 100 della convenzione Unclos e l'intero procedimento «potrebbe venir riconsiderato».
In pratica si lascia aperta la porta ad una via d'uscita, che ha visto coinvolto negli ultimi tempi, secondo fonti indiane de Il Giornale, lo stesso procuratore generale dell'Unione, Goolam Essaji Vahanvati. Il rappresentante degli indiani in Italia, Vinod Sahai, che si è dato da fare per i marò, spiega: «I tempi si allungano, ma la corte speciale è più flessibile». Ed influenzabile politicamente da Salman Khurshid ex ministro della Giustizia, ora agli Esteri, che aveva già sollecitato la sentenza della Corte suprema.
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