È un cappio che in nome della speranza strangola i più elementari sentimenti di giustizia quello che di nuovo ieri Benjamin Netanyahu, dolorante e grave, ha dovuto stringere al collo del suo popolo.
Il Gabinetto del governo israeliano ha votato, 13 a 7, il rilascio di 104 prigionieri palestinesi. La grande maggioranza sono terroristi, i loro nomi già circolano sotto banco: molti hanno le mani macchiate del sangue di civili innocenti. Una piccola folla con i ritratti dei figli, dei fratelli, delle mogli, uccisi nelle numerosissime fasi in cui il terrorismo ha sparso morte e distruzione ha dimostrato a Gerusalemme per chiedere di non spezzare di nuovo il loro cuore.
Ma la misura, stabilita dopo sei ore di discussione in cui molte spietate, tese considerazioni sono volate nell'aria, sarà messa in atto nei prossimi nove mesi in quattro fasi come condizione del negoziato diplomatico fra Israele e i palestinesi. Se dura. Netanyahu ha tenuto molto a sottolineare, in un messaggio speciale, la sua consapevolezza della sostanziale mancanza di giustizia contenuta in una misura politica che cancella le decisioni delle onorate corti di giustizia israliane e colpisce i cittadini già più colpiti. Ha anche ripetuto può volte che la gradualità fornisce garanzie: se i palestinesi se ne vanno dalle trattative, Israele blocca le consegne.
Secondo un'indagine conoscitiva promossa dalle famiglie degli uccisi in atti di terrorismo, l'84 per cento degli israeliani è contro lo scambio prigionieri-inizio dei colloqui. Il fatto è che Netanyahu, che pure ha rimandato di qualche ora il Gabinetto per fra i suoi riconquistare alcuni riottosi, non ha avuto veramente scelta. I palestinesi agli occhi degli Stati Uniti hanno il merito di aver rinunciato alle altre due precondizioni: l'accettazione preventiva dei confini del '67 e il blocco delle costruzioni nei Territori. John Kerry ha posto a Netanyahu l'aut aut: adesso devi accettare di liberare i prigionieri, o prenderti la responsabilità di bloccare i colloqui. E questo, deve avergli ricordato, mentre, ai confini, Egitto e Siria possono diventare molto pericolosi, e soprattutto in vista della bomba atomica iraniana, ormai vicina.
La pressione americana ha di nuovo spinto Israele verso il solito «gesto di buona volontà» che, compiuto mille volte fino a oggi non ha portato nessun risultato. Lo scambio Jibril nell'85 fu solo il primo in cui Israele cedette 1150 prigionieri in cambio di tre soldati... poi lo scambio sempre enormente dispari di ostaggi e soprattutto di corpi e pezzi di corpi senza vita su cui gli hezbollah hanno danzato di gioia liberando assassini di bambini e di donne, poi l'abnorme scambio con Hamas di 1027 contro Gilad Shalit, ad Annapolis la liberazione di 400 delinquenti da parte di Ehud Olmert...
In genere questi scambi sono serviti a recuperare qualcuno, qualcosa: qui non c'è nessun gesto corrispettivo da parte palestinese, mentre continua l'incitamento più spietato anche da parte di Abu Mazen. Ovvero, se si liberassero terroristi nel mentre i palestinesi giurano che il terrorismo è una fase conclusa, sarebbe interessante. Ma il 44 per cento dei liberati per Shalit sono stati fermati di nuovo dalla polizia, e, soprattutto pochi giorni fa, alla morte di Ahmed Jabara, il terrorista che portò un frigorifero pieno di tritolo nel centro di Gerusalemme uccidendo 15 passanti e ferendone 60, Abu Mazen lo ha elogiato come eroe modello dei giovani palestinesi. Ora piazze e scuole si chiameranno col suo nome.
Sempre ieri il Gabinetto ha votato un progetto di legge che stabilisce che qualsiasi cambiamento dello status quo nei confini comporta un referendum cui saranno chiamati tutti i cittadini di Israele. Una decisione molto sofferta che sarà votata mercoledì dalla Knesset.
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