Sedici pescatori indiani sono stati massacrati di botte in alto mare dalla marina dello Sri Lanka. Dal 1980 sembra che siano 530 i pescatori uccisi dai cingalesi per il controllo degli spazi ittici, 300 negli ultimi anni. Un’ecatombe rispetto alle due vittime del peschereccio St Anthony imputate ai nostri marò. Di fronte alla mattanza dello Sri Lanka, però, il governo di New Delhi fa poco, a tal punto che dopo il pestaggio di massa di ieri i responsabili delle associazioni dei pescatori coinvolti dell’isola di Rameswaram hanno protestato duramente.
E chiamato in causa l’attivismo sospetto dimostrato con i marò. Secondo i sindacalisti Sesu e Deveraj il governo indiano «così solerte quando si è trattato di perseguire una nave italiana ed una di Singapore che hanno causato di recente vittime fra i pescatori del Kerala, tace invece quando al centro del problema c’è lo Sri Lanka». I rapporti tra l’ex isola di Ceylon e l’India sono sempre stati buoni e strategici. Le truppe indiane intervennero per cercare di fermare la guerra civile contro le Tigri tamil, ma fu un fallimento.
L’antico odio etnico sedimentato da un conflitto che è durato 26 anni si riflette sulla caccia al pescatore indiano, che proviene in gran parte dallo stato del Tamil Nadu. I sindacalisti indiani sottolineano che la marina cingalese «ha ucciso almeno 300 pescatori negli ultimi anni senza che nulla sia successo». Per i marò, invece, si è colto l’aspetto propagandistico-politico della vicenda, alla vigilia delle elezioni suppletive nello stato del Kerala, per incastrarli.
L’incidente di ieri ha coinvolto 25 pescherecci indiani che si erano avvicinati alla linea di frontiera dello stretto di Palk con lo Sri Lanka. A bordo c’erano, guarda caso, pescatori del Tamil Nadu. La marina militare cingalese li ha circondati in mezzo al mare e attaccato con bastoni, pietre e bottiglie. Almeno 16 tamil sono rimasti feriti, compreso un pescatore di 25 anni che è in gravi condizioni. Non soddisfatti i marinai dello Sri Lanka hanno danneggiato i pescherecci e le reti indiane. L’assalto in mare è stato descritto dalle autorità locali come «una violazione dei diritti umani», ma gli stessi rappresentanti dei pescatori contestano il governo sostenendo che non fa nulla, mentre si accanisce sui due marò italiani.
Negli ultimi 30 anni ci sarebbero stati 530 morti fra i pescatori indiani, in gran parte di origine tamil. In India sono state lanciate campagne di sensibilizzazione sui social network, ma le autorità centrali fanno spallucce. Alcuni politici locali indiani del Tamil Nadu hanno puntato il dito contro New Delhi e annunciato bellicosi propositi separatisti se non si fermerà la mattanza della marina cingalese. Gli ultimi morti si registrarono lo scorso anno, ma in questo momento sono in galera nello Sri Lanka, da 100 giorni, cinque pescatori indiani.
Le autorità cingalesi li accusano di aver trafficato droga, ma i poveretti sono stati bastonati per estorcere una confessione, senza successo. In teoria i pescatori avrebbero dovuto venir protetti dal consolato indiano a Jaffna, nel nord dell’isola stato, per organizzare un rimpatrio indolore.
La stampa locale sottolinea un altro aspetto interessante degli scontri regionali sullo sfruttamento ittico. Il 28 febbraio un peschereccio indiano, con 11 uomini a bordo, è stato intercettato da alcuni pescatori delle Maldive armati fino ai denti, a tal punto che si pensava fossero della marina militare. Gli indiani sono stati scortati a forza verso le Maldive e consegnati nelle mani della Guardia costiera. Il caso era talmente eclatante che il 2 marzo i pescatori indiani sono stati rilasciati.
Una
dimostrazione in più che nel tratto di oceano dove sono stati incastrati i marò girano barche con pescatori armati a bordo, a causa della guerra del pesce, che possono venir facilmente scambiati per pirati.www.faustobiloslavo.eu
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