L’ostaggio italiano al telefono col Giornale

Parla il carabiniere italiano sequestrato domenica scorso a Sana'a vicino all'ambasciata italiana dove lavora come addetto alla sicurezza: "Qui mi trattano bene". Ascolta l'audio

L’ostaggio italiano al telefono col Giornale

«Pronto con chi sto parlando?». La voce di Alessan­dro Spadotto, il carabiniere di 29 anni, sequestrato do­menica a Sana’a, arriva forte e chiara dallo Yemen. A parte un filo di comprensibile stupore per l’inaspetta­ta telefonata dall’Italia. Attraverso una filiera di con­tatti pensavamo di riuscire a parlare con il capo dei se­questratori, Ali Nasir Hariqdan. Pure noi siamo ri­masti sorpresi che dopo le prime domande abbia­no p­assato il telefonino all’ostaggio italiano per far­ci sentire che è vivo e sta bene.
Con il giovane carabiniere di 29 anni ci presentia­mo e quando sent­e che dall’Italia lo chiama IlGior­nale rimane un attimo interdetto, in silenzio. Poi si riprende e dice: «Sono Alessandro Spadotto. Sto
bene, ma non potete parlare con me, non posso dirvi nulla».

I miliziani tribali che lo tengono in ostaggio fanno una gran confusione dall’altra parte del telefonino. Sembra un suk arabo. Alla fine ci ripassano il carabi­niere una seconda volta. «Adesso mi trattano molto bene», spiega Spadotto, che è addestrato per queste ed altre situazioni perico­lose. Durante il sequestro nella capitale ed il trasferimento nella provincia orientale di Marib, a 170 chilometri da Sana’a,non de­ve aver passato momenti tran­quilli, ma ripete «sto bene, sto be­ne ». La voce è tranquilla, senza un’ombra di paura, anche se uti­lizza frasi succinte e non aggiun­ge mai dettagli.

Alla domanda se pensa che la prigionia sarà breve risponde, sempre con calma, «non lo so». Ci invita a contattare la Farnesi­na e q­uando gli chiediamo se vuo­le mandare un messaggio alla fa­miglia fa in tempo a dire «li salu­to ». Poi gli portano via il telefo­no.

Spadotto ha parlato anche lu­nedì via cellulare con l’ambascia­ta. L’impressione è che i seque­stratori vogliano chiudere la fac­cenda in fretta e che si tratti di gente preparata. Il sindaco di Ma­rib, capoluogo della provincia ye­menita, starebbe facendo da me­diatore. Il primo che risponde al telefonino è Sa’id Salih, che si presenta come giornalista yeme­nita e fa parte della filiera di con­tatti de Il Giornale . Mette subito le mani avanti: «Chi lo ha seque­strato non ha nulla a che fare con al Qaida o i ribelli islamici. State tranquilli».

Dopo averci fatto parlare con l’ostaggio,un paio di telefonate e caotiche discussioni di altre per­so­ne sullo sfondo passa il cellula­re a Ali Nasir Hariqdan, che chia­mano sheik. «alam Alaykum ( la pace sia con voi). Io ce l’ho con il governo yemenita, non con quel­lo italiano. Mi aspetto però che il vostro Paese faccia pressioni (su Sana’a, ndr ) », esordisce il capo. Le autorità locali sostengono che è ricercato per omicidio e ban­ditismo. In una sparatoria avrebbe ucci­so due militari e ferito degli altri, ma non è chiaro perché sia scop­piata. L’unico dato certo è che lo avevano catturato e sbattuto in prigione, ma in gennaio gli uomi­ni del suo clan hanno sequestrato un giovane dipendente norvege­se dell’Onu. Poi rilasciato in cam­bio della libertà per sheik Ali Na­sir.

«Sono io che ho fatto il rapimen­to- ammette- .Non c’entrano nul­la i ribelli (fazioni islamiche ed al Qaida, ndr ) o le tribù. È una que­stione personale. Non apparten­go ad alcun gruppo», spiega con voce ferma al telefonino. «Il go­verno yemenita mi ha derubato dei miei soldi e beni. Sono dei la­dri. Li hanno sequestrati ingiusta­mente.
Mi devono compensare delle perdite.Per questo ho rapito l’ita­liano ». Poi ammette che l’ostag­gio
«è con me in un villaggio del Marib (la provincia ad est di Sa­na’a, ndr ). Il poliziotto italiano sta bene, mangia, beve ed è in sa­lute ». Quando lo sheik finisce la frase, i suoi scagnozzi in sottofon­do ridono.
A Sana’a confermano che il go­verno gli avrebbe sequestrato dei terreni, ma è circolata la noti­zia che la cifra di «indennizzo» sa­rebbe bassa, attorno ai 70mila dollari. Il sequestratore vorreb­be anche venir depennato dalla lista nera di ricercati e da quella degli yemeniti che non possono espatriare.
Ali Naser prima non parla di soldi, ma poi spara una somma ben più alta, che non pubblichia­mo.

Dollari che secondo lui sa­rebbero dovuti per i sequestri su­biti dal governo centrale. Lo sheik, come si fa chiamare indi­cando che è un capo clan, sottoli­nea in toni quasi conciliatori: «Mi aspetto che il governo italia­no mi aiuti ad avviare un dialogo con le autorità yemenite».

Un comunicato del ministero dell’Interno di Sana’a ha confer­mato che il capo dei rapitori è Ali Naser Hariqdan della tribù al Ja­lal, ma altre fonti parlano del clan Abiduh. Gli al Jalal sono un clan radicato nella provincia del Marib, che in passato aveva dato rifugio a ricercati di al Qaida. Un posto non proprio tranquillo do­ve vengono fatti saltare ripetuta­mente in aria i gasdotti, come mo­nito al governo.

Purtroppo la situazione nello Yemen è ancora instabile dopo l’uscita di scena non proprio in­dolore del presidente-padrone del Paese, Ali Abdullah Saleh, do­po 33 anni al potere. Ieri nella ca­pitale è scoppiata una battaglia fra un centinaio di miliziani triba­li che volevano mettere a ferro e fuoco il ministero dell’Interno e le truppe governative.
Sul terreno sono rimasti i corpi di 11 soldati e molti risultano i fe­riti. I miliziani, che hanno com­battuto contro al Qaida al fianco delle forze di sicurezza, preten­dono l’arruolamento promesso in polizia. Per la seconda volta da domenica hanno marcia­to sul ministero, ma ieri è fi­nita
male.

Un motivo in più per chiudere in fretta il rapi­mento di Spadotto, co­me ha ribadito il mini­stro degli Esteri Giulio Terzi: «Faremo di tutto per riportarlo a casa molto rapidamente».
A San Vito del Tagliamento, in provincia di Pordenone, lo aspettano la mamma Marina, il papà Augusto, ex carabiniere e la fidanzata Giorgia, che secondo il quotidiano locale
Il Gazzettino avrebbe ricevuto un sms da Ales­sandro con scritto «sto bene, non preoccupatevi». In seguito la ma­dre ha sostenuto che ai genitori «non è arrivato nulla».


Da Londra Luca Tesconi, pri­ma medaglia italiana alle Olimpi­adi, ha dedicato la vittoria al com­militone dell’Arma in ostaggio nello Yemen, «con l’augurio che possa presto riabbracciare i suoi cari».

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