Lezione americana ai musei: il Met fa boom grazie ai privati

Lezione americana ai musei: il Met fa boom grazie ai privati

Quando si parla d'arte non c'è popolo più generoso degli americani. È di questi giorni la notizia dell'imponente donazione, del valore di un miliardo di dollari, da parte di Leonard A. Lauder, presidente della casa cosmetica Estée Lauder, al Metropolitan Museum di New York. Si tratta di 78 opere cubiste, che rappresentano il nucleo più importante nelle mani di un privato, e che consistono in 33 Picasso, 17 Braque, 14 Gris e 14 Léger. Nell'offerta vi sono autentici capolavori, come La donna in poltrona (Eva) di Pablo Picasso, La casa sotto gli alberi di Fernand Léger, Ritratto della madre di Juan Gris e Alberi all'Estaque di Georges Braque. La collezione sarà visibile al pubblico a partire dall'estate del 2014. Tutte datazioni certe e pedigree inequivocabili, di opere che Lauder ha comprato in 26 anni di ricerca nelle aste internazionali e nelle grandi collezioni.
Ebreo americano, 80enne con un'invidiabile forma fisica, vedovo, Leonard, figlio ed erede dell'impero economico fondato da Estée Lauder, ha sempre interpretato filantropismo e mecenatismo con un grande senso della cosa pubblica, se è vero che nel passato ha donato diverse opere di autori importanti al Whitney Museum (Johns, Lichtenstein, Pollock, Oldenburg, Twombly e Warhol) e ha contribuito a sostenere insieme ad altri miliardari (George Lucas, Bill Gates, Michael Bloomberg tra questi) un nuovo centro di ricerca e di acquisizioni per l'arte moderna al Met, costato 22 milioni di dollari.
Thomas P. Campbell, il direttore del Met, non può che felicitarsi per un'operazione che cambia completamente il volto a uno dei più importanti musei del mondo fondato soprattutto sull'arte classica, in una strategia decisamente lungimirante che prevede di abbattere gli steccati tra antico e moderno per offrire ai visitatori un percorso in continua trasformazione e sempre più appetibile. Tutto il contrario dei musei italiani, ingessati sui nuclei storici delle loro collezioni e del tutto incapaci di innovarsi. Musei che per decenni hanno scoraggiato, se non impedito, le donazioni e che ora si trovano a batter cassa per sostentare un sistema che si regge sugli sprechi e la scarsità di servizi, mentre altrove, nel mondo angloamericano in particolare ma anche in paesi emergenti, l'arte è davvero una forma strepitosa di business.
Così accanto ai reperti archeologici e ai maestri impressionisti, i visitatori del Met troveranno la pittura contemporanea, la fotografia, persino delle opere di Damien Hirst. E ora i cubisti. Tradotto in cifre ciò significa moltiplicazione di biglietti, cataloghi, merchandising e servizi di ogni genere. Se pensiamo all'immenso potenziale artistico dell'Italia, il non riuscire ad applicare anche da noi una strategia similare non può che provocare un feroce disappunto. Mentre gli americani passato e storia non ne hanno, e la devono acquistare a colpi di dollari dall'Europa, noi non riusciamo a far fruttare il nostro patrimonio presente sul territorio, che rappresenta paradossalmente un costo vivo. Certo gli eventuali signori Lauder in Italia si tengono ben distanti dall'apparire in pubblico perché verrebbero assassinati dal fisco, ma il problema principale resta l'eccessiva settorializzazione e specializzazione dei nostri musei: ce ne sono troppi e non tutti all'altezza.

Ottimizzare l'offerta in alcuni luoghi imprescindibili e dotarli di strumenti per attivare una politica di sfruttamento turistico è la chiave. La concezione moderna del museo è quella del Met, altre non ne esistono e comunque non sopravviveranno.

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