Non chiamatelo colpo di stato. In Libia il colpo di stato vero c'è già stato. L'hanno messo a segno il 5 maggio i Fratelli Musulmani nominando premier con una maggioranza non qualificata, il candidato Ahmed Miitig. Ma quel golpe è passato nel silenzio più assoluto. Il primo a ignorarlo è stato il governo di Matteo Renzi. Nonostante dalla Libia arrivino non solo decine di migliaia di migranti, ma anche il gas e il petrolio dell'Eni, Roma ha assistito indifferente al preludio dell'attuale caos, culminato ieri nel «consiglio» ai nostri connazionali, diffuso dall'ambasciata italiana a Tripoli, di valutare rientri temporanei in Italia.
Con l'elezione farsa del 5 maggio il Partito della Giustizia e della Costruzione, ala politica dei Fratelli Musulmani, puntava a ribaltare il risultato delle elezioni vinte nel luglio 2012 dall'Alleanza delle Forze Nazionali dell'ex premier Mahmoud Jibril. Un piano scientemente perseguito dai Fratelli Musulmani riusciti con la forza delle armi, del denaro e della convenienza politica, a «comprarsi» i favori di molti dei parlamentari eletti nelle file avversarie. E così dopo le dimissioni a marzo del premier Ali Zeidan e l'abbandono - cinque giorni dopo l'investitura del successore Abdullah al Thani - la Libia era pronta a cadere nelle mani degli islamisti. Non a caso una settimana fa gli Stati Uniti avevano spostato 200 marines dalla Spagna alla base siciliana di Sigonella.
L'attacco a Bengasi, la roccaforte delle milizie jihadiste, lanciato venerdì dall'ex generale Khalifa Hiftar, ha rappresentato la risposta armata al golpe istituzionale ordito in Parlamento. Una risposta proseguita domenica notte quando gli uomini di Hiftar e di altre milizie anti islamiste hanno assalito il palazzo del Congresso Nazionale Generale (il parlamento) a Tripoli arrestando sette deputati. Il colpo di mano di Hiftar nasconde però il rischio di un'imminente caduta nel baratro della guerra civile. Una guerra civile che vede contrapposte le milizie islamiste di Misurata, Bengasi e della Cirenaica a quelle di Zintan e di Tripoli legate all'ex premier Mahmoud Jibril. Al centro dello scontro c'è l'autorità di un Parlamento che i nemici dei Fratelli Musulmani vorrebbero veder sciolto e rieletto. Una rielezione che i Fratelli Musulmani del «Partito della Giustizia e della Costruzione», consapevoli della propria debolezza elettorale, si guardano bene dal concedere. Dietro a quel golpe silenzioso si nascondono, però, anche le responsabilità del nostro governo. A suo tempo l'esecutivo Letta aveva ricevuto da Washington la delega ufficiosa a vigilare sulla nostra ex-colonia. Un'ex colonia che per la sua complessità né americani, né inglesi, né francesi riescono a decifrare o a gestire. Un'ex-colonia fondamentale per la gestione del flusso di profughi diretti a Lampedusa e per la difesa degli interessi nazionali rappresentati dal gas e petrolio. Il governo Renzi ha puntualmente disatteso le deleghe conferiteci dagli alleati.
A cominciare dalla trascuratissima conferenza internazionale sulla Libia dei primi di marzo che Washington aveva voluto far svolgere a Roma, nonostante i dissapori di Londra e Parigi, proprio per confermare il ruolo centrale del nostro paese. Ma, purtroppo per noi, non è finita qui.
Trascurando gli interessi nazionali, il nostro esecutivo ha ignorato la crisi libica anche di fronte al calo nella produzione di gas e petrolio e all'emergenza di 30mila profughi arrivati sulle nostre coste grazie anche al coinvolgimento delle milizie islamiste nella tratta di uomini. Ecco perché le frasi a effetto di Matteo Renzi che ora si affretta a definire la Libia «il problema più forte del Mediterraneo» risuonano solo come un tardivo e colpevole piagnisteo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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