Maxiscandalo nella Corea del Sud, uno dei paesi più high tech al mondo. I dati sensibili di 20 milioni di cittadini sono stati trafugati e poi venduti ad aziende specializzate in campagne di marketing. Dati estorti tramite carte di credito. Arrestati i dirigenti delle aziende di marketing, quindi il colpevole: un informatico che fornisce dati creditizi a tre delle maggiori compagnie di carte di credito. Licenziati in tronco i top manager delle banche coinvolte.
Il fatto mette a nudo la fragilità di un Paese che si nutre di contraddizioni e di eccessi. Partiamo dalla ossessione formativa, sorta di marchio di questo Paese. Gli studenti sono tra i migliori al mondo. Ma a che prezzo? E con quali risultati? Frughiamo nella loro giornata tipo. Scuola fino al pomeriggio, studio singolo e poi con insegnanti privati fino a tarda sera. È intervenuto pure il governo che ha predisposto pattuglie di controllori impegnati a verificare che non si studi dopo le 10 della sera.
Cosa spinge ragazzi, ma soprattutto padri e madri, a cedere a questa ossessione formativa? Prima cosa. I genitori, cresciuti durante i decenni di dittatura illuminata, sono la generazione-ponte fra la Corea anni Cinquanta, rasa al suolo dalla guerra, e quella rampante del Duemila: quarta potenza economica dell'Asia, sesto produttore mondiale, secondo Paese al mondo per grado di innovazione. In tale contesto, i genitori desiderano per i loro ragazzi quello che non hanno avuto: denaro e successo lavorativo.
La Corea del Sud è stretta fra i colossi Cina e Giappone e la minacciosa Corea del Nord. La lenta ascesa ha coinciso con il boom economico dell'Italia del secondo dopoguerra, l'esplosione di energia sudcoreana si è avuta però solo ora, e grazie a investimenti sul capitale umano, quello che noi italiani siamo maestri nel disperdere. Il 3,5% del Pil è destinato alla voce «ricerca e sviluppo», si creano strutture e sistemi che possano attrarre investitori stranieri: come le otto zone franche, in testa Incheon, o futuristiche città satelliti. Caso, quest'ultimo, di Pan-Gyo, una Silicon Valley d'Oriente, dove si vive, studia, e - in appositi parchi tecnologici - si progetta in tema di alta e bio tecnologia.
I neolaureati sono la forza lavoro di marchi sudcoreani che si stanno imponendo sui mercati a suon di primati. Svetta Samsung, nata 70 anni fa come compagnia di commercio di frutta e verdura, e diventata il gigante che conosciamo grazie al sostegno dello Stato che, già negli anni Sessanta, individuò in questa ed altre aziende di famiglia (i chaebol) il traino dell'economia del Paese. Nel nome del dirigismo economico, il governo sorresse questi agglomerati aziendali di famiglia con sussidi e prestiti a basso costo, oggi i primi dieci chaebol, tra cui Samsung, LG, Hyundai, generano l'80% del Pil del Paese. Dopo la crisi degli anni Novanta, i chaebol si sono rigenerati puntando sulla globalizzazione, ramificandosi in tutto il mondo pronti a salvaguardare il made in Corea sfruttando però le competenze autoctone. La stessa Corea, come si diceva, è aperta agli investitori stranieri. Anzi, l'obiettivo chiave sta proprio nell'attrarli.
Lo slogan 2013, agitato dalla neo Presidente della Corea, è «economia creativa». Si reclama creatività in un Paese dove modalità operative compulsive e iperspecializzate rischiano di avere come contropartita una riduzione di creatività, originalità e slancio. Un processo che si registra proprio nell'ambito scolastico. Perché è vero che gli studenti coreani di scuola superiore sono fra i migliori al mondo, ma è anche stato dimostrato che il loro non è uno studio efficace.
Il 56% dei giovani sudcoreani, poi iscritti nelle università americane, si ritira prima di completare l'iter tanto che dall'America è giunto puntale una raccomandazione: study smart not hard. Attenzione, poi, a non barare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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