«Ora la Somalia sta ripartendo E l'Italia si lascia tagliare fuori»

«Il vostro governo? Poteva fare assai di più. Non fatemi dire altro». Non appena nomini l'Italia di Monti il presidente somalo Sharif Sheik Ahmed s'irrigidisce. La secca risposta è la misura della distanza che ormai separa Roma e Mogadiscio. Una distanza allargatasi dopo la mancata riapertura della nostra ambasciata. Una riapertura promessa dall'ex sottosegretario Alfredo Mantica, ma disattesa dal governo Monti. Il vuoto lasciato nell'ex colonia è già stato riempito. Norvegia, Francia, Turchia, Inghilterra e Stati Uniti investono pesantemente nella rinascita della Somalia, scandita dagli investimenti di Ankara, dalle prospezioni petrolifere di Parigi e Oslo e dall'impegno di Londra per garantire un'intesa con i secessionisti del Somaliland e del Puntland. Una rinascita che il 48enne Sharif Sheik Ahmed, il presidente dell'ex Governo di Transizione pronto alla riconferma, descrive così in quest'intervista esclusiva a Il Giornale.
«Abbiamo appena liberato il porto di Merka. Ora grazie agli alleati della missione Amisom contiamo di arrivare a Kisimayo e farla finita con gli shebab. La riconquista di Merka permetterà alle aziende straniere di riprendere gli investimenti. Magari tornerete anche voi italiani». La riconquista del caposaldo meridionale fino al 27 agosto dei territori controllati dagli shebab di Al Qaida è la premessa per tutte le future alleanze politiche e commerciali.
Nelle acque prospicienti la frontiera keniota si stanno già affacciando i tecnici petroliferi norvegesi e la Total firmataria di un accordo con il Kenya per lo sfruttamento di cinque giacimenti petroliferi off-shore. Per evitare le incursioni militari del Kenya - ufficialmente a caccia di terroristi islamici, ma alla ricerca di un pretesto per l'annessione dei territori meridionali della Somalia e dei suoi pozzi - Sheik Ahmed avrebbe messo a punto un'intesa con Nairobi e Parigi. La liberazione di Merka è dunque il primo passo verso lo sfruttamento congiunto delle risorse petrolifere off-shore. «Il prossimo obbiettivo è la liberazione di Kisimayo. A quel punto - spiega il presidente – la Somalia sarà un Paese libero, pronto a ripartire. I 215 membri del nuovo Parlamento sono al lavoro dal 20 agosto. Ora voglio rimettere in piedi l'esercito, garantire la sicurezza e impedire il ritorno degli shebab. Poi ricostruiremo quel che è stato distrutto da 21 anni di guerra».
L'International Crisis Group, un think tank di riferimento per Onu, Banca Mondiale ed Unione Europea, non è così ottimista. I suoi rapporti sottolineano la corruzione del Governo di Transizione guidato da Sharif Sheik Ahmed e il mancato svolgimento di elezioni parlamentari. La nomina dei membri del nuovo Parlamento affidata agli anziani dei clan rifletterebbe la litigiosa composizione tribale fonte delle disgrazie del passato. «Solo chi non fa niente non sbaglia mai - replica il presidente – chi m'accusa dimentica che in Somalia è impossibile garantire elezioni libere e sicure. Fino ad un anno fa Mogadiscio era ancora occupata dagli shebab. In quelle condizioni era altrettanto impossibile garantire la contabilità e registrare entrate ed uscite. Qui non si raccolgono tasse, il ministero delle Finanze è scomparso, la Banca Centrale un ricordo. Ora ricostruiremo tutto. Il nuovo Parlamento garantirà la trasparenza ed eviterà gli errori del passato».
Tra quegli errori molti annoverano i trascorsi di Sharif Sheik Ahmed nominato presidente nonostante abbia guidato le Corti Islamiche, la formazione integralista che governò la Somalia dal giugno al dicembre 2006. «Certo, ho presieduto le Corti Islamiche, ma poi - spiega Sheik Ahmed – ho capito che stavamo distruggendo il Paese e la popolazione ci detestava. Non ho rinnegato la fede, ho solo compreso la necessità di separare religione e governo. Un buon governo, ora lo so, deve realizzare le aspettative del popolo. Per questo sto cercando di garantire la sicurezza dei territori per permettere ai somali di rientrare dall'esilio e investire in patria le risorse accumulate all'estero. Per ora il mio piano funziona».
Quel che non sembra funzionare è la sua rielezione prevista per il 20 agosto, ma continuamente rinviata a causa d'interminabili trattative con i capi bastone del Parlamento.

Sharif Sheik però non si scompone. «In Italia dite chi va piano va sano e va lontano. Fin qui abbiamo nominato il presidente del Parlamento. Datemi qualche giorno e anch'io sarò riconfermato. Vi aspetto a Mogadiscio per il mio giuramento».

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