Transizione morbida. Ma pur sempre transizione. Al di là della cortesia, oltre i rapporti negli ultimi anni sempre più distesi tra i Castro (Fidel 85 anni, Raul 81 anni) e il Vaticano, l’auspicio del Papa che da domani è in terra cubana è uno: la fine del regime, la libertà non solo religiosa, ma anche politica e civile. In fondo, è lo stesso modello che la Chiesa cattolica, nella persona del cardinale arcivescovo di Madrid Enrique y Tarancón, mise in atto in quella transizione indolore che portò la Spagna dal regime di Francisco Franco a una costituzione democratica.
Benedetto XVI ha voluto mettere in chiaro le cose da subito. Decollando da Fiumicino verso il Messico (prima tappa del viaggio) non ha ceduto a giri di parole: «È evidente che al giorno d’oggi l’ideologia marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà e così non può costituire una società. Devono trovarsi nuovi modelli con pazienza e in modo costruttivo». Più o meno quanto disse il suo predecessore, il Papa polacco che abbatté il muro di Berlino ma che non riuscì mai a scardinare né la dittatura di Cuba né quella cinese. Dal 21 al 25 gennaio 1998, nei cinque discorsi e nelle tre omelie pronunciate in quei cinque giorni storici, Wojtyla parlò di libertà «che include il riconoscimento dei diritti umani e giustizia sociale», definì la democrazia «il progetto politico più consono alla natura umana», e invitò tutti a «percorrere un cammino di riconciliazione, dialogo e accoglienza fraterna». Certo, Giovanni Paolo II criticò l’embargo imposto dagli Usa e denunciò senza mezzi termini gli abusi del capitalismo selvaggio, ma il centro del suo messaggio fu uno e venne sintetizzato in una frase divenuta poi storica: «Che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba».
Da parte vaticana chi più di altri si è adoperato per spingere Cuba a lasciarsi alle spalle il passato è il sostituto della segreteria di stato vaticana Giovanni Angelo Becciu. Per anni nunzio a Cuba, è anche grazie al suo prezioso lavoro diplomatico, morbido e votato alla non ingerenza, che Cuba ha scarcerato negli ultimi anni alcuni prigionieri del regime. Benedicendo, in qualche modo, l’insediamento al vertice del governo di Raúl Castro, Becciu non ha dimenticato di chiedere rispetto per la libertà religiosa, accesso ai media per i propri rappresentanti, la possibilità di costruire nuovi edifici di culto, il nihil obstat all’arrivo nel paese di nuovi missionari. Il tutto mettendo sul piatto dei rapporti con il regime una linea nuova, più distensiva che lasciando da parte antichi dissapori e arroccamenti, mirasse a risultati concreti. A conti fatti, la sua è stata una sorta di Ostpolitik su scala caraibica del Terzo millennio.
Benedetto XVI ha conosciuto più da vicino Becciu durante il viaggio del marzo 2009 in Camerun e Angola. Fino a luglio 2009, infatti, Becciu era nunzio in Angola e São Tomé e Príncipe. Qui ha organizzato l’arrivo, la permanenza e la prima visita di Ratzinger sul territorio africano. Ma è a Cuba che i rapporti tra Becciu e la Santa Sede si sono intensificati. Nel paese, infatti, è arrivato non soltanto il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone nel 2008 per una lunga visita di una settimana, ma anche il responsabile dei rapporti con gli stati, il corso monsignor Dominique Mamberti, poco dopo Bertone.
La politica vaticana degli ultimi anni più distensiva che in passato ha avuto nelle nomine vescovili una sua importante manifestazione. Quattro anni fa i vescovi di Pinar del Rio e di Santiago de Cuba, che erano tra i più combattivi nei confronti del regime castrista, sono andati in pensione e sono stati sostituiti da due presuli più accomodanti. Ma lo scopo della presenza ecclesiastica in terra cubana non è cambiato: sostenere la Chiesa cattolica e insieme spingere per la fine del regime.
Certo, non tutti in Vaticano privilegiano questa linea decisa negli obiettivi ma più morbida nella sua applicazione. Tra questi Armando Valladares, scrittore e poeta cubano, autore del libro «Contro ogni speranza: 22 anni nel gulag delle Americhe». Valladares è stato imprigionato nel 1960, all’età di 23 anni, e ha scontato ventidue anni di reclusione nelle carceri politiche di Fidel Castro con l’accusa di essersi rifiutato di piazzare sulla sua scrivania, sul posto di lavoro, una dichiarazione di fedeltà al comunismo. Valladares ha criticato la linea morbida del Vaticano degli ultimi tempi.
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