Renzi uguale a Letta e Monti All'estero tutti fenomeni, poi...

Il premier vanta (vaghi) trionfi a Bruxelles. Il predecessore si sbilanciò di più: "Fatto, ora l'immigrazione è tema europeo". Tornati a casa si scoprono i flop

Renzi uguale a Letta e Monti All'estero tutti fenomeni, poi...

Non ricordo in quale vecchio film un generale inglese diceva: «Per vincere gli italiani in battaglia è facilissimo. Basta offrirgli la resa con l'onore delle armi e quelli sfileranno tutti contenti verso il campo di prigionia». Era una battutaccia insultante, ma coglieva un aspetto del carattere nazionale: sbandierare come una vittoria l'onore delle armi, i complimenti a tavola, oh che bel loden, oh come parla bene il francese, oh, come è giovane, e così via.
Adesso, onestamente, che cosa abbia portato a casa Matteo Renzi in questi giorni, non si capisce. Molto onore delle armi, baci e riverenze, ma ha liquidato Enrico Letta dalla ipotesi di presidenza del Consiglio europeo dicendo che di italiani ai vertici ce n'è già abbastanza (e Letta stia sereno) e subito appiattendosi sul candidato dei tedeschi Juncker, quello che gli inglesi quando lo sentono soltanto nominare, già vomitano. Giustificazione non potabile: «Lo votiamo non perché ci convinca l'uomo, ma il metodo». Che vuol dire? Boh.
E poi? Elasticità per le nostre situazioni debitorie? Ma quando mai. Al massimo gli hanno detto, con forte accento teutonico «Se foi farete riforme che noi ciutichiamo puone, può tarsi vi tiamo caramella». Che successo, che carriera, diceva Ennio Flaiano in una delle sue epigrafi dedicata a un giornalista di Matera che alle cinque della sera scese da una millecento nera.
Per carità non fraintendeteci: se l'Italia a Bruxelles raccoglie successi e anche sorrisi nonché pacche sulle spalle, noi siamo contenti, visto che - senza rievocare gli inverecondi sghignazzi di Merkel e Sarkozy al primo ministro Berlusconi - abbiamo in genere raccolto una ostilità più o meno mascherata, quasi sempre dal fronte guidato dalla Germania che è certamente un grande Paese leader di una certa concezione dell'Europa, salvo che quella concezione che potremmo definire delle patate e delle vicine steppe, fa a pugni con l'altra concezione dell'Europa dei mari e degli oceani rappresentata dal Regno unito.
Ciò che sorprende è quel che Matteo Renzi dice al termine della sua trattativa con la Merkel e dopo aver avuto la promessa che se si faranno le riforme si allenteranno anche leggermente i cordoni della borsa. Renzi usa questa minuscola, virtuale apertura di credito per scagliarsi contro i suoi senatori dissidenti che vorrebbero mantenere il Senato elettivo. Davvero pensa che la cancellazione del Senato elettivo sia la grande riforma che tutta l'Europa si attende? A prima vista, può sembrare una presa per i fondelli. Alla seconda vista viene da dire buona la prima.
Il fatto è che da un po' l'Italia scricchiola a Bruxelles. La sinistra fa finta di credere che il peggior scricchiolamento avvenne nell'ultimo periodo del governo Berlusconi, ma è una sciocchezza, una menzogna. Berlusconi pagò politicamente una pesa di posizione politica antagonista a quella della signora Merkel. Fu allora che la sua testa cadde nel paniere, con una esecuzione mediaticamente perfetta, con i risolini, l'isolamento, le telefonate di Napolitano che bypassavano il governo e tutto quel che sappiamo. Le gaffe degli altri sono state accuratamente occultate con il fard mediatico che copre tutte le imperfezioni. Nel novembre scorso, ad esempio - governo Letta - il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni si segnalò per una conferenza stampa a Bruxelles del tutto balbettante e imprecisa in cui disse che erano «in arrivo diversi miliardi da spending Review e privatizzazioni». Poi, ritrovata la sicurezza perduta, dichiarò che «non c'è nulla da cambiare e nel 2014 raggiungeremo gli obiettivi che ci sono stati chiesti dalla Ue». Li ha visti, l'Europa, questi obiettivi raggiunti? Ma va. Pochi giorni prima Letta, dopo aver bussato alla porta dell'Ue per chiedere aiuto sul tema degli sbarchi a Lampedusa, riferì trionfante: «Passo avanti, ora è un tema europeo». Si è visto poi com'è andata.
Ricordiamo Tremonti quando, esattamente dieci anni fa, luglio del 2004, annunciò al mondo «Non andrò a Bruxelles a fare figuracce», dopo una telefonata con Fini al calor bianco. La materia del contendere era quella delle cosiddette «scatole cinesi».
Non vogliamo farla lunga e buttarla sull'aneddotica. Quel che oggi vediamo nelle imprese europee del maghetto Matteo Renzi dal veloce e ipnotizzante scilinguagnolo che piace alla nuova borghesia in cerca di stupore, è una dannata vocazione a cambiare le carte in tavola. Lo fa con maestria. Dice che abbiamo ottenuto (che lui ha ottenuto) un grandioso risultato e poi si scopre che sotto le parole non c'è nulla.

La Merkel però sembra gli abbia detto che se si arrendeva gli avrebbe concesso l'onore delle armi. E per quel che sappiamo, Renzi si è allineato. È vero che anche Monti era molto allineato sulla Merkel malgrado le note gibbosità, ma Renzi si è conquistato il primo posto in classifica.

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