Siria, i giornalisti scambiati per spie

La troupe della Rai avrebbe filmato inavvertitamente qualche sito di interesse militare per i ribelli

Amedeo Ricucci a Herat in Afghanistan
Amedeo Ricucci a Herat in Afghanistan

I quattro giornalisti italiani inghiottiti dalla guerra civile in Siria, più che rapiti, sono stati fermati e interrogati da un gruppo di estremisti islamici anti Assad, che li sospettano di essere spie. «Probabilmente hanno filmato qualcosa che non dovevano, ma li stanno trattando bene. Vogliono solo controllare tutto il materiale e verificare», spiega al Giornale Malih Fallaha, italiano di origini siriane. Di solito abita a Bolzano, ma fino a venerdì era nel nord della Siria, nella zona di Idlib, dove sono stati «trattenuti» Amedeo Ricucci della Rai, il fotografo di guerra Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la freelance italo-siriana Susan Dabbous.
Fallaha porta aiuti alle vittime della guerra civile dalla parte dei ribelli: «Grazie al Syrian children relief ci occupiamo di 90 orfani. Bastano 50 euro al mese». Con lui, per documentare lo strazio della guerra, c'era Diego Artioli. Un fotografo italiano free lance che ha toccato con mano quanto sia pericoloso il nord della Siria: «Venerdì dopo la preghiera un colpo di cannone è andato a schiantarsi nell'edificio di fronte, un altro a circa una trentina di metri ed il terzo direttamente sopra la nostra testa, sul tetto dell'edificio».
Non hanno incrociato i giornalisti italiani dispersi, ma l'italosiriano si è subito mobilitato con i suoi contatti nella guerriglia. «Li hanno individuati vicino al confine con la Turchia nella zona di Jisr al Shugour - spiega Fallaha -. I quattro giornalisti stanno bene. Vogliamo fare il possibile per contattarli e risolvere la situazione». La soluzione potrebbe essere imminente, forse già nella giornata di oggi o nel giro di 24 ore. Se così non fosse la faccenda si complicherebbe.
Una fonte anonima dell'Ansa conferma che gli italiani «sono stati fermati e non sequestrati» e che «presto verranno liberati e accompagnati in Turchia». La stessa fonte precisa che i ribelli stanno «effettuando degli accertamenti per verificare che si tratti di giornalisti e non di spie».
Chi li trattiene fa parte del Jabath al Nusra, un efficiente gruppo guerrigliero salafita, che conta nei suoi ranghi combattenti stranieri veterani della guerra santa internazionale. Non a caso sarebbe intervenuto il Qatar, che tiene i cordoni della borsa dei gruppi più estremisti. L'accordo è consegnare i giornalisti ad una fazione più moderata vicino all'Esercito di liberazione siriano e scortarli in territorio turco.
Il gruppo di Ricucci è entrato in Siria il 2 aprile da Guvecci partendo dalla città turca di Antiochia. Di fronte avevano la catena di Jabal Turkman, indicata nell'ultimo messaggio di Susan Dabbous che collabora con il Foglio, Il Fatto, Avvenire.
L'area è sotto controllo dei ribelli dopo aspri combattimenti andati avanti fino a gennaio. Nella zona sono stati segnalati campi di addestramento compreso uno dei temibili ceceni, che combattono contro Assad. Tutte le testimonianze concordano: i giornalisti italiani hanno filmato «una postazione militare» o qualcosa del genere, facendo scattare i sospetti. Non sarebbero stati «venduti», appena passato il confine, ma «fermati» come presunte spie ed interrogati. Giovedì 4 aprile è arrivata la loro ultima comunicazione via telefono: «Stiamo bene, ma non possiamo parlare».
La Rai ha invocato il silenzio stampa con l'appoggio dei soloni del sindacato Usigrai. L'agenzia Adn Kronos, che tempo fa non aveva dubbi a lanciare la bufala della liberazione della cooperante Rossella Urru, lo ha accolto.

Sembra quasi che la pelle dei giornalisti valga più degli altri. Invece siamo proprio noi che dobbiamo mettere nel conto disavventure del genere se vogliamo raccontare le guerre. In Siria, solo nel 2012, sono stati uccisi 28 reporter, altri 21 rapiti e 15 incarcerati.

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