Il fallimento dell'Occidente e la conseguente catastrofe siriana sono scritti nei numeri. I più terrificanti sono quelli di una stima Onu che ipotizza il raddoppio dei profughi destinati a passare, entro un anno, dagli attuali 2 milioni e mezzo ad oltre 4 milioni. Dietro l'inarrestabile tracimazione ci sono gli errori commessi da Washington, Parigi e Francia con l'appoggio interessato e complice di Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Più l'orrore dilaga, più quegli errori appaiono evidenti. Così evidenti da non consentire vie di fuga.
Prendiamo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Fino all'inizio della scorsa estate era, con il presidente François Hollande e il premier inglese David Cameron, uno dei più convinti sostenitori della necessità di armare i ribelli e arrivare alla formazione di un governo provvisorio. Il disegno dell'asse franco-inglese puntava sulla caduta di Bashar Assad seguita da una veloce trattativa sull'assetto della Siria con gli oppositori. Fabius e alleati non avevano fatto i conti con la progressiva egemonizzazione dell'insurrezione da parte delle forze jihadiste o qaidiste di Al Nusra o dello «Stato Islamico dell'Iraq e del Levante». Così - a poco più di un mese dalla riapertura dei negoziati di Ginevra - Fabius deve ammettere di «nutrire molti dubbi» sulla trattativa. Dietro quei dubbi c'è una precisa consapevolezza. A Ginevra gli unici interlocutori saranno il governo di Damasco e, se mai accetteranno di partecipare, le forze jihadiste. Nell'esprimere quei dubbi il ministro francese si guarda bene però dal ricordare le proprie responsabilità. L'esecutivo di Parigi è stato - assieme a quelli di Londra e Washington - il principale artefice della decisione di lasciar mano libera a Qatar, Arabia Saudita e Turchia ovvero ai padrini, ai finanziatori e ai complici degli estremisti.
Altri errori non meno drammatici emergono in queste ore. Uno è dissimulato tra le righe del rapporto sull'uso di armi chimiche presentato della commissione dell'Onu guidata dallo svedese Ake Sellstrom. Nell'esaminare l'attacco del 21 agosto scorso a Jobar, alla periferia di Damasco, che spinse la Casa Bianca a minacciare l'intervento armato, il rapporto cita prove «legate al probabile uso di armi chimiche su scala relativamente ridotta contro i soldati». Il rapporto dunque non parla né di ribelli, né di civili, ma di «soldati». A Jobar, però, gli unici soldati erano quelli governativi. Tra le righe sembra dunque emergere una velata ammissione. L'attacco per cui Obama voleva scatenare una guerra non fu una malefatta del regime, ma una messa in scena organizzata dalle fazioni estremiste.
Le stesse che minacciano il massacro dei 2000 cristiani intrappolati nella città di Kneye se non accetteranno di abbandonare le proprie case e convertirsi all'islam. «Temiamo ricorda in queste ore il vescovo emerito di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro - che la popolazione sia costretta a fuggire o a convertirsi all'islam se non vuol essere trucidata. I qaidisti stranieri sono entrati nel villaggio e hanno impedito al parroco di suonare le campane per avvertire del pericolo. Poi hanno bloccato le strade e ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge coranica. Se una sola donna esce senza velo, tutti gli abitanti rischiano di venir passati per le armi».
La tragedia dei cristiani di Kneye è la stessa vissuta da gran parte delle popolazioni siriane.
Tanto che il generale Salim Idriss, capo dell'Esercito Libero di Siria, la più moderata tra le formazioni armate ribelli, sta valutando la possibilità di tornare a combattere con il regime per bloccare l'avanzata delle formazioni estremiste. E a Washington l'ex capo della Cia Michael Hayden non ha esitazioni nel definire una vittoria di Assad «l'opzione migliore» rispetto ad una affermazione dei gruppi jihadisti o ad un caos senza vincitori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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