La vittoria era preannunciata: il premier uscente Viktor Orbàn guiderà l'Orszàggyùlés, il Parlamento di Budapest, anche per i prossimi quattro anni. Ma non è certo che riesca a farlo con una maggioranza dei due terzi dei seggi (ridotti da 386 a 199 con la nuova legge elettorale). Fino alla tarda serata di ieri, quando oltre il 70 per cento dei seggi erano scrutinati, a dare filo da torcere al partito arancione Fidesz è stata la piccola formazione dei verdi dell'Lmp, che alle 23 si attestava al 4,94 per cento. Un soffio, per raggiungere la quota di sbarramento del 5 per cento, che toglierebbe al partito del premier uscente il bonus. Per Orbàn, la vittoria sarebbe allora in tono minore.
Sconfitta invece la coalizione democratica, che ha raccolto il 25 per cento. Troppo tardi le varie anime dell'opposizione il principale partito di sinistra Mszp, il movimento E14 fondato dall'ex primo ministro Gordon Bajnaj, i liberali del Dk e i verdi del Pm - hanno deciso di mettersi insieme nel tentativo di contrastare la forza politica di un leader che con carisma e politiche forti è riuscito a guadagnarsi il favore della maggioranza degli ungheresi. Il candidato della sinistra Attila Mesterhazy è un volto nuovo, pulito (uno dei pochi a non essersi reso protagonista du scandali per corruzione) ma poco convincente, incapace di trasmettere durante la campagna elettorale un messaggio chiaro né un programma di governo alternativo. Inutile il suo appello di ieri mattina in cui invitava i cittadini ad andare a votare: a decretare il successo della Fidesz è anche la bassa affluenza, che si è fermata al 60,56 per cento: ancora meno di quella registrata quattro anni fa, quando si attestò al 64,4 per cento. È il sintomo di una sfiducia che serpeggia nel mondo della sinistra ungherese nei confronti della politica. Il vero punto interrogativo della competizione elettorale in questo Paese che fa sì parte dell'Ue, ma in cui l'Ue sembra un'entità lontanissima, estranea e nemica, era quello del partito di estrema destra Jobbik. Che ha superato il risultato di quattro anni fa, sfondando persino il tetto previsto dai sondaggi e toccando il 21,28 per cento dei consensi. «Jobbik offre soluzioni semplici a problemi complessi. Quanto alla Fidesz, purtroppo ci aspettavamo questo risultato: la loro campagna elettorale è stata invadente, e ci è stato impedito di avere spazi a sufficienza», ci spiega Bence Javor, capogruppo in parlamento del Pm, la costola dei Verdi che si è alleata con i democratici. Nel loro quartier generale dentro al ghetto ebraico di Budapest gli umori sembrano quasi rassegnati: forse anche per loro era ovvio che Viktor Orbàn, il politico navigato che è stato il fondatore della Fidesz, l'ha portata al successo, e poi ha governato insistendo sulla sovranità nazionale in materia economica, avrebbe vinto. A favorire il successo di Orbàn è anche la nuova legge elettorale: per la prima volta nella storia democratica dell'Ungheria prevede elezioni a unico turno, estende il diritto di voto anche ai cittadini di origine magiara che risiedono al di fuori dei confini nazionali (il 95% di loro ha votato per la Fidesz), e soprattutto ha ridotto il numero delle circoscrizioni, così l'esito di alcune zone del Paese, tradizionalmente più spostate a sinistra, è stato rimesso in discussione.
Ma Orbàn ha conquistato anche per i risultati economici ottenuti in un Paese dove la crisi ha iniziato a fare capolino quando ancora la Lehman Brothers godeva di ottima salute, nel 2006: oggi la disoccupazione è in calo attorno al 9 per cento, i prezzi delle bollette di gas ed elettricità sono stati tagliati, il Pil è cresciuto del 2,7 per cento nell'ultimo trimestre del 2013, e il suo rapporto con il deficit è sotto controllo al di sotto della soglia del 3 per cento. Tanto basta per convincere l'elettorato.
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