La Cina ha paura di una foto: quella che ritrae un piccolo uomo con delle buste di plastica in mano, che ferma una colonna di carri armati. Proprio per questo, per evitare ogni rischio, ha fatto scattare la censura preventiva alla vigilia del 25° anniversario della strage di piazza Tienanmen. Non si deve parlare di certe cose: silenzio totale, rimozione della memoria. E a chi si facesse venire strane idee, manette. Come quelle che sono scattate per l'artista Guo Jian, ex militare e partecipante alle dimostrazioni di piazza del 1989: nei giorni scorsi è stato prelevato a casa sua, nel quartiere periferico di Songzhuang, a Pechino, ed è stato portato in cella. La sua colpa? Aveva realizzato una scultura per commemorare la strage, con la riproduzione in scala di piazza Tienanmen ricoerta di 160 kg di carne macinata. L'opera, di cui aveva ha parlato il Financial Times, ha mandato su tutte le furie il regime, che ha fatto scattare la ritorsione contro l'artista.
Nelle maglie della censura è finita ovviamente nche la Rete. Bloccati i servizi forniti da Google (non solo le ricerche ma anche servizi come Gmail, Calendar e Translate) e alcuni social network. Si segnalano misure preventive anche su LinkedIn. L'obiettivo del regime è duplice: da un lato fare il possibile affinché l'anniversario passi sotto silenzio, almeno all'interno dei confini della Repubblica popolare cinese. Dall'altro puntare sul fattore tempo: proseguendo con l'opera di sistematica rimozione dei fatti tra non molto nessuno neanche più immaginerà cosa è accaduto tra il maggio e il giugno di 25 anni fa. Ma c'è chi fa di tutto per opporsi alla cancellazione della memoria: #35maggio è l’hashtag coniato per Twitter dallo scrittore Yu Hua. Molti cinesi usano questa data farlocca per ricordare quel tragico 4 giugno senza essere bloccati dalla censura.
Oltre alle chiusure sul web le misure di sicurezza sono aumentate anche nelle piazze. Lungo la via della Grande pace (Chang'An Jie) che conduce a Tienanmen sono schierate numerose squadre di agenti. Si possono vedere molte camionette della polizia, che vigilano tra i passanti: a ogni minimo segnale di disturbo c'è l'ordine di intervenire. L'allerta è massima, così come nelle ultime settimane sono scattati numerosi arresti preventivi. Tra i tanti i primi di maggio sono finiti in manette l'avvocato per i diritti umani Pu Zhinqiang e l'intellettuale Xu Youyu. E non mancano gli "avvertimenti": accademici, attivisti e giornalisti della stampa estera attivi in Cina sono stati caldamente invitati a non addentrarsi in piazza Tienanmen in questi giorni.
La posizione ufficiale del governo è nota: "Non esistono dissidenti ma solo criminali". Lo ha ribadito il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Hong Lei, rispondendo ai giornalisti sulle richieste di chiarimento in merito ai recenti arresti di alcuni attivisti. Ovviamente se si nega alla radice la possibile contestazione all'ordine costituito, chi si permette non solo di contestare ma anche solo di pensarla in modo diverso dalla linea ufficiale è un criminale. E come tale viene trattato, senza se e senza ma.
L'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha esortato Pechino a compiere un'operazione verità. "Invece di soffocare i tentativi di commemorare gli eventi del 1989, le autorità dovrebbero incoraggiare e facilitare il dialogo e la discussione come un modo per superare l'eredità del passato". E la ricerca della verità, ad esempio, passa anche dall'accertamento del numero di morti, che a venticinque anni di distanza varia ancora da centinaia a migliaia di persone.
Se neanche ci si mette d'accordo sul numero esatto di vittime com'è possibile ipotizzare, anche lontanamente, una pacificazione? Ai leader cinesi, in realtà, tutto questo non interessa. L'importante è cancellare ogni traccia: Tienanmen non è mai esistita.
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